CLAUDIO NOCE

Regista e produttore, oggi è tra i fondatori della factory AREA 63 che si rivolge al cinema e all’arte dell’audiovisivo

Giovane autore emergente a Venezia e vincitore del David di Donatello nel 2005, Claudio Noce è una della figure di spicco della scena romana cinematografica. La passione per la macchina da presa ha segnato da subito la sua strada nel cinema. Nato a Roma nel 1975, Noce inizia a realizzare cortometraggi e documentari all’età di vent’anni. “Alvise” del 1998 è il suo primo titolo. Seguono videoclip per artisti come: Paola Turci, Nada, Cor Veleno e Piotta. Ma è il 2002 l’anno che segna la vera evoluzione: con la regista Emma Rossi Landi fonda la Zanahoria film, una piccola factory molto conosciuta sulla scena romana che realizza diversi lavori più volte selezionati a festival internazionali. Nell’ottobre del 2010 insieme a un gruppo di artisti e tecnici fonda AREA 63, la factory che produce diverse espressioni di audio visivo. La laguna e la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia,
con i diversi premi, rappresentano solo una tappa nel percorso artistico di Claudio Noce. “Il Festival Arcipelago ha segnato il mio percorso. Da lì ho iniziato. Avevo tra i 17 e i 18 anni e questa passione fortissima: andavo al cinema in maniera compulsiva, tutti i sabati. Poi ho iniziato a studiare cinema e ho imparato non solo la storia ma anche l’alfabeto del cinema”. I primi lavori di Claudio, documentari e video girati a Piazza Vittorio con gli amici, rispondevano già alla sua visione di un cinema il cui “linguaggio e stile devono essere al servizio degli attori e la macchina da presa deve spiare momenti di vita quotidiana”. Arrivano i suoi primi lavori. Claudio approda nei principali festival internazionali e ottiene i primi veri riconoscimenti con un giovanissimo Elio Germano e il cortometraggio “Gas”. Da qui la sua carriera è in salita: nel 2005 con “Aria” si afferma come uno dei più promettenti giovani autori emergenti. “Da lì in poi ci ho creduto” ed è stato un susseguirsi di partecipazioni a festival e concorsi. “Poi sono arrivati i temim sociali: lo spazio, la città, il territorio e i rapporti tra persone. Così nei miei film c’è una Roma che non sembra Roma”. Realizza il documentario “Aman e gli altri” presentato fuori concorso al “Festival internazionale di Torino”, che costituirà il primo tassello di “Good Morning Aman” (2009) il suo lungometraggio d’esordio pluripremiato, con Valerio Mastandrea, Said Sabrie, Anita Caprioli, Amin Nur e il rione Esquilino sullo sfondo.

SERGIO PONZIO – DETOUR

Non solo sala cinematografica ma spazio dedicato al cinema, alla cultura, all’arte, alla musica e alla socializzazione

Il cinema non è solo una passione personale per Sergio Ponzio, Giuseppe Cacace, Lior Levy e Lucia Pirozzi. Tutti e quattro provengono da esperienze lavorative diverse, comunque legate all’attività cinematografica, e costituiscono nel 1997 l’Associazione Culturale Detour. L’obiettivo è di promuovere e produrre un tipo di cinematografia indipendente e creare uno spazio culturale capace di coinvolgere molte e diverse realtà sotto il comune denominatore dell’amore non solo per il cinema, ma anche per la fotografia e per la musica. Unico cinema d’essai attivo nei rioni Monti e Esquilino, propone ogni giorno rassegne, concerti, spettacoli teatrali, proiezioni e retrospettive, abbracciando i vari generi e lasciando aperte le porte alla sperimentazione, oltre che ai prodotti di paesi lontani. L’impegno di Sergio Ponzio, critico cinematografico romano, Giuseppe Cacace, architetto, designer e illustratore pugliese, Lior Levy, filmaker d’origine israeliana, e Lucia Pirozzi, montatrice bolognese, ha dato vita ad un luogo di aggregazione oltre che di cultura cinematografica. Un’attività che trova la propria ragion d’essere a partire dal nome, Detour, ispirato al noir americano a basso costo del regista Edgar G. Ulmer “per attestare quanto contino più le idee e la passione dei budget miliardari. Detour è anche il segnale stradale che indica una deviazione da percorsi già battuti, l’invito a lasciarsi alle spalle i clichés del già visto per inoltrarsi nei territori di un cinema ulteriore, della visione inaspettata, disturbante, rivoluzionaria”. La formula con cui è stato organizzato lo spazio è nuova: oltre a essere un cinema è un centro di produzione indipendente di documentari e cortometraggi nonché una bottega di prodotti equo-solidali e alimenti biologici, insieme alla Cooperativa Sociale Oasi Urbana con cui condivide i locali. I quattro fondatori si associano nel 1997. “Quando abbiamo aperto, via Urbana era animata da botteghe artigiane e qualche vecchia osteria. Ci siamo costituiti come associazione culturale non profit e abbiamo dato il via all’attività di proiezione, diventando ben presto un punto di riferimento cittadino per la cultura underground, con proposte che spaziano dal cinema d’autore alle cinematografie emergenti, dalla sperimentazione alla video-arte, dal cinema di genere al documentario”.
www.cinedetour.it

FABRIZIO ARCURI – ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI

Il palcoscenico come momento di riflessione sociale e di dialogo formativo tra gli adetti ai lavori e il pubblico

Fabrizio Arcuri è una delle personalità più particolari e capaci della scena teatrale nazionale ed internazionale. Regista, autore, coreografo e fondatore della compagnia teatrale Accademia degli Artefatti, si è distinto nella scena romana a partire dagli anni Novanta con l’uso di linguaggi raffinati ed essenziali. Una vocazione, la sua, che risale all’età di sedici anni. Da allora Fabrizio ha ogni giorno portato avanti questo sogno, riflettendo su quale potesse essere il suo ruolo in un ambiente, quello del teatro, in cui è davvero difficile costruirsi un avvenire. Il suo percorso è stato costellato di progetti ma, soprattutto, di persone che potessero condividerli. Oggi è approdato a un tipo di teatro immaginifico e visionario, fatto di interpretazioni originali e allo stesso tempo essenziali. “Io non credo che l’originalità sia qualcosa di perseguibile è, semmai, un risultato, una conseguenza del lavoro. Non ho mai ricercato nel mio lavoro uno stile o un qualsivoglia approccio che partisse dalla ricerca di originalità, la mia è una ricerca di senso. Ogni volta che iniziamo un nuovo progetto quello che cerchiamo è il senso, l’opportunità e la legittimità”. Per Fabrizio Arcuri l’importanza delle sue creazioni è data dal rapporto tra i vari elementi interni ed esterni ad uno spettacolo, perché è questo che cerca di sviluppare. “Penso che tutto quello che faccio e che facciamo si possa sintetizzare in questa parola. Il rapporto che noi abbiamo con il testo che decidiamo di rappresentare, il rapporto che il testo ha con il momento sociale e politico e il rapporto che lo spettacolo ha con lo spettatore. Credo che l’arte, in generale, abbia come compito principale quello di mettere in relazione dialettica gli accadimenti e la realtà e di fornire piani di lettura possibili di questa relazione”. Ciò che Fabrizio cerca è la rivalutazione del teatro come mezzo di riflessione della società su se stessa. In questo senso lo spettacolo deve essere un dialogo continuo tra chi lo vede e chi lo mette in scena. Anche le collaborazioni hanno la loro importanza: “Nel corso di questi anni abbiamo a lungo ricercato e messo in atto collaborazioni con tutte le realtà istituzionali e non, che hanno mostrato desiderio ed empatia nella realizzazione di una politica culturale organica e sensata. Il tutto volto a operazioni di qualità, e non con carattere di evento che brucia le risorse e non permette una prospettiva di lavoro”. Oggi Arcuri è anche direttore artistico del Festival Internazionale delle Letterature di Massenzio a Roma.
www.artefatti.org

LUCIA CALAMARO

Un teatro del pensiero che cavalca il quotidiano esplorando la realtà degli stati d’animo

Dall’Uruguay alla Francia fino all’Italia, è una corsa tra due continenti la carriera di Lucia Calamaro, drammaturga, regista e attrice. Nata a Roma, a tredici anni si trasferisce a Montevideo, seguendo il padre diplomatico. Laureata in Arte e Estetica alla Sorbona di Parigi, oltre all’insegnamento presso l’Universidad Catolica de Montevideo, ha preso parte come attrice e regista in molti spettacoli nella stessa città, e poi a Parigi e a Roma, dove ha collaborato con molte strutture: il Centro Sociale Villaggio Globale, il rialto santambrogio, il Teatro Furio Camillo. La sua riflessione è tutta sui sentimenti che il mondo visibile genera nell’animo umano. Le emozioni sono messe a nudo nei suoi spettacoli e proprio attraverso di esse Lucia esplora gli ombrosi frammenti del quotidiano dove si incastrano le anime. Lucia Calamaro è un personaggio che nella sua vita probabilmente non avrebbe potuto fare altro se non teatro. “Avevo sedici anni, ero una tipetta parecchio strana, punk-new romantic, ed ero andata a sentire la prima riunione del gruppo. Il professore ci lesse estratti da “Le theatre et son double” di Antonin Artaud. Il suo delirio mi parve tale da poter tranquillamente contenere il mio. E a tutt’oggi, salvo quando non ho un soldo in tasca per settimane, mi sembra di non aver sbagliato. Per quel che concerne il delirio, intendo. Pochi altri luoghi, oltre il teatro, accoglierebbero il mio modo di essere”. Gli obiettivi che si pone nel suo lavoro cambiano di spettacolo in spettacolo, insieme al suo modo di essere e di sentire; scrivere spettacoli corrisponde ad una modalità di pensare il mondo, è la sua griglia interpretativa molto personale e paradossalmente molto teatrale degli eventi della vita. In Tumore, uno spettacolo desolato, ad esempio, “c’è stata la volontà di immortalare una persona cara deceduta e di condividere questo sentimento di ‘pietas’ per i morti con il pubblico. Mentre uno slancio liberatorio da giustiziere, che racconta i segreti di famiglia, per smettere di vergognarsene ed incitare il pubblico a fare altrettanto, a liberasi dalle vergogne ereditate è presente in Magick, autobiografia della vergogna”. Oggi è impegnata in L’origine del mondo, ritratto di un interno, “la questione è attinente a quel pauroso ‘mal de vivre’ che da spleen a malinconia si ingloba nel termine tecnico di depressione. E, soprattutto, alle strategie domestiche e caserecce che una persona e i suoi cari mettono in atto per attraversarla e uscirne non troppo malandati”.

DARIO COLETTI

Dopo aver sperimentato tanti percorsi ha scelto di raccontare con le immagini i diversi volti dell’umanità

Fotografo professionista romano, Dario Coletti ha iniziato quest’attività all’età di trent’anni. Prima di allora era stato operaio, operatore educativo e libraio ambulante: esperienze che sommate a quelle politiche e associative sono state fondamentali nella sua formazione. Poi la decisione di dedicarsi alla fotografia e di collaborare con alcune agenzie fotogiornalistiche. Dopo un viaggio di lavoro nello Sri Lanka inizia a seguire un proprio itinerario personale. Da allora Coletti ha partecipato a diverse pubblicazioni e mostre in tutto il mondo. Oggi è vicedirettore dell’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma, dove insegna da sedici anni, e nel quale è responsabile del settore reportage nonché coordinatore, assieme a Manuela Fugenzi, del Master di
Fotogiornalismo. “All’inizio ho lavorato nel campo della fotografia di attualità in collaborazione con alcune agenzie di stampa: la ricerca della notizia, la progettazione del
reportage, l’esecuzione e la verifica dell’attività sono diventati un percorso applicabile a tutto quello che facevo. Era importante stare sulla notizia, alzarsi presto, leggere i giornali e le agenzie di stampa, programmare la giornata e prendere nota dei lavori da svolgere durante la settimana o in quella futura, partecipare alla riunione di redazione, confrontarsi
con gli altri fotografi, uscire e rientrare con il materiale nei tempi della postproduzione e della diffusione. E ripartire subito dopo per altri lavori”. Dopo un paio di anni di questa attività Dario segue un gruppo di italiani in pellegrinaggio sulle orme del Buddha nello Sri Lanka. Questo è un momento importante nella sua carriera di fotografo. Si sente pronto a realizzare un proprio itinerario personale: “Ero pronto a cercare tempi più adatti alla mia indole e a una riflessione più intensa, di indirizzare la mia attenzione verso temi di interesse generale. Da un punto di vista imprenditoriale ciò significava rivolgermi a un’editoria di più ampio respiro, affrancarmi dalla frenesia del quotidiano con l’obiettivo di valorizzare tutta la mia produzione e non una singola foto. Intraprendere questo percorso mi ha rivelato che il mio interesse primario era l’umanità e le sue manifestazioni: la dignità, la spiritualità, il lavoro, la festa, il ritrovarsi dentro una tradizione, la difesa del proprio ambiente e via dicendo. È questo che faccio oggi per vivere”.
www.dariocoletti.com

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