Il corpo solitario nell’autoscatto fotografico

“Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea”: il corpo si racconta attraverso l’autoscatto fotografico.

Giovedì 21 febbraio, presso il Centro Di Sarro di Roma, sarà presentato il nuovo libro di Giorgio BonomiIl corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea“, Editore Rubbettino che in più di 400 pagine, tutte a colori, esamina oltre 700 artisti di tutto il mondo, a partire dagli anni Settanta. Per l’occasione è stata organizzata una mostra che presenta artisti che con la fotografia hanno messo in pratica le modalità dell’autorappresentazione, spesso evidenziando una poetica di “solitudine”. Si parte dal proprio corpo come elemento primario di sé e, soli con se stessi, si ricerca una rappresentazione che può essere “reale” o “possibile”, tragicamente data o felicemente ipotizzata.

Per “autoscatto” si intendono tutte le forme possibili con cui questo può realizzarsi: dall’autoscatto vero e proprio (con il temporizzatore, con la macchina fotografica in mano, con il flessibile, con il telecomando) alla fotografia realizzata da un assistente il cui compito è meramente esecutivo: così possiamo usare molte definizioni, per le realizzazioni ottenute con questa tecnica che è anche una poetica, come “autoritratto”, “percezione di sé”, “identità”, “allo specchio”, e molte altre, per quel concetto di “autorappresentazione” che l’artista, da sempre, ha tentato.
La pratica dell’autoscatto è enormemente diffusa in tutto il mondo, soprattutto negli ultimi anni, qui si presentano un ristretto, ma significativo gruppo di artisti, in prevalenza di genere femminile – infatti, altra caratteristica del campo dell’autoscatto è proprio la numerosa presenza femminile – europee che, al di là delle differenze, anche anagrafiche, hanno tutti un notevole curriculum artistico e professionale di livello internazionale.

È caratteristica dei nostri tempi l’apparizione di un modo nuovo di riflessione sulla propria identità, sul proprio corpo, sulla conoscenza di sé. Finito lo “scandalo”, finita la necessità ontologica di una autodefinizione, l’artista ha cominciato a indagare su se stesso come oggetto di conoscenza, da un lato, e come soggetto di narrazione, dall’altro: la metodologia dell’autorappresentazione è apparsa la più funzionale e la più appropriata per simili operazioni; la stessa componente narcisistica, certamente presente, assume un valore diverso se leggiamo il mito greco non come esempio di futile vanità (Narciso muore affogato o di consunzione, a seconda delle versioni, perché innamorato di sé) bensì come esemplificazione dell’operazione del conoscere, cioè il percepire l’altro da sé (ciò che sta davanti al soggetto conoscente) e comprenderlo (che, etimologicamente, significa “prendere insieme”, “afferrare”), per cui Narciso muore nel tentativo di “afferrare” la sua immagine “riflessa” sull’acqua proprio per conoscere se stesso, cioè con l’“autoriflessione”, e si consideri che possiamo conoscere la parte più significativa del nostro corpo – il volto – solo con lo specchio, che ci “riflette”: con il mito di Narciso si evidenzia che il desiderio di conoscere comporta rischi estremi, fino alla morte, come insegna anche l’altro grande mito sulla conoscenza, l’Ulisse dantesco.

È evidente che in questa odierna società, sempre più spersonalizzata e basata sull’immateriale, il percorso di riappropriazione non può che partire da se stessi e dal proprio corpo: l’autorappresentazione, quindi, permette di evitare mediazioni, funziona come “specchio”. Un altro dato interessante consiste nel fatto che, come si è accennato, tra gli artisti che usano l’autorappresentazione, sono prevalenti le donne, per spiegare il fenomeno possiamo ricorrere a tutte le categorie indicanti le caratteristiche femminili: intimità, riservatezza, immediatezza, pudore, e così via, se non le interpretiamo in modo mellifluo e se accettiamo la lezione del femminismo più accreditata che prevede non l’uguaglianza bensì l’esaltazione delle differenze di genere.

Infine, ma a rigor di logica sarebbe la prima domanda da cui partire, dobbiamo chiederci: perché proprio la metodologia dell’autorappresentazione? Riteniamo che, oltre alle motivazioni sopra esposte, questa forma di rappresentazione/espressione permetta all’artista di unificare soggetto ed oggetto senza mediazioni e di usufruire di una completa “solitudine” nell’atto creativo. Se, infatti, quando l’artista riprende una realtà altra con la camera fotografica, abbiamo l’ingranaggio di tre elementi – il soggetto che riprende, la macchina, l’oggetto ripreso – con l’autoscatto il primo e il terzo si unificano quasi fagocitando, per così dire, il secondo. Tutto ciò permette di evitare, almeno a livello concettuale e metodologico, ogni interferenza esterna, positiva o negativa, e l’autore si trova “solitario” e carico di una responsabilità, etica ed estetica, maggiore e con una dose assai più ampia di rischio: ma la sfida crediamo, come si può vedere anche in questa mostra, ha dato risultati assai interessanti.

GLI ARTISTI
Natascia Becchetti – Stefania Beretta – Isabella Bona – Maria Bruni – Marina Buratti – Anja Capocci -Maurizio Cesarini – Antonio D’Agostino – Luigi Di Sarro – Isabella Falbo – Lucia Gangheri -Anna Maria Gioja – Werther Germondari – Tea Giobbio – Alessio Larocchi – Maria Mulas – Federico Nardelli – Caterina Notte – Virginia Panichi – Valentina Parisi – Daniela Perego – Andreina Polo – Elettra Ranno – Rivka Spizzichino – Sara Spizzichino – Alessandra Tescione – Mona Lisa Tina – Emiliano Zucchini

IL CURATORE
Giorgio Bonomi è nato a Roma nel 1946, vive a Perugia. Dopo un periodo di studi e scritti di filosofia politica, tra cui il libro Partito e rivoluzione in Gramsci, ed. Feltrinelli 1973, la collaborazione a “il Manifesto”, si è dedicato all’arte contemporanea come critico, curatore di mostre, saggista e fondando e dirigendo la rivista “Titolo”. Ha diretto il Centro Espositivo della Rocca Paolina di Perugia dal 1994 al 1999. È stato il Direttore della Fondazione Zappettini (Chiavari e Milano) che si occupa della pittura analitica, e della Biennale di Scultura di Gubbio. Tra le circa duecento mostre curate in Italia e all’estero, ricordiamo: Plessi; Beuys. Difesa della Natura; le Biennali di Scultura di Gubbio del 1992, 1994, 2006, 2008; 3 X Monochrom: Fontana, Manzoni, Pinelli; Pittura 70. Pittura pittura e astrazione analitica. Dirige la Collana Arte contemporanea di Rubbettino Editore, presso cui ha pubblicato gli ultimi suoi due libri, La disseminazione. Esplosione, frammentazione e dislocazione nell’arte contemporanea; Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea.

Inaugurazione 21 febbraio ore 18.30
Durata: 21 febbraio – 2 marzo

Centro Luigi Di Sarro
Via Paolo Emilio, 28 – Roma
mar-sab ore 16.00-19.00

Le fotografie di Stefano De Luigi

Dal 1 febbraio al 21 marzo 2013 le fotografie di Stefano De Luigi sono esposte negli spazi di ILEX.

Colori sovraccarichi e tonalità attenuate caratterizzano le fotografie di Stefano de Luigi (Colonia 1964). Scatti che ritraggono i mondi paralleli, ben lontani dalla macchina dei sogni di Hollywood, dei set di scena: dall’industria del porno alla televisione, dalla moda al cinema. Il suo ultimo lavoro Cinema Mundi è stato presentato come cortometraggio al 60° Film Festival di Locarno nel 2007. Nel 2000 un suo lavoro e’ stato proiettato ad Arles (Francia). Da segnalare, tra i premi vinti, l’Eugene Smith Fellowship Grant nel 2007 e il World Press Photo Award nel 1999, 2008 e 2010, il Days Japan International Photojournalism Award ed il Getty Grant for Editorial Photography nel 2010.

Dal 1 febbraio al 21 marzo 2013 le fotografie di Stefano De Luigi saranno esposte negli spazi di ILEX.

ILEX é la prima galleria online in Italia, con l’obiettivo di diffondere un nuovo modello di collezionismo per la fotografia: salvaguardare la qualità ma a prezzi accessibili. Noi siamo degli appassionati di fotografia. Nasce da un’idea di Deanna Richardson nel 2008, curatrice di libri e di mostre fotografiche. Per chi invece preferisce dedicarsi al collezionismo classico esiste un’offerta di tirature più basse, prove d’artista, e ancora la possibilità di scegliere e acquistare chiedendo un’appuntamento dedicato. La sede di ILEX é a Roma. Le foto che compaiono sul sito rappresentano solo una parte delle fotografie disponibili.

Orari: martedì – venerdì dalle 15 alle 19
sabato: 11 – 19

Dove: Galleria ILEX
Via in Piscinula, 21 (Trastevere)
www.ilexphotostore.com
info@ilexphoto.com

www.stefanodeluigi.com

Da Roma al Polo Sud

Da Roma al Polo Sud. Foto e altri documenti dall’archivio di Erich B. Kursch.

s.t. foto libreria galleria prosegue il proprio lavoro di recupero e valorizzazione delle immagini del passato con una mostra che ruota attorno all’archivio di un grande giornalista europeo scomparso tre anni fa a Roma, Erich B. Kusch (1930-2010), per lunghi anni presidente dell’Associazione della Stampa Estera.
Triestino di nascita ma cresciuto in Germania, corrispondente dall’Italia per diverse testate tedesche, Kusch aveva scelto di custodire personalmente i diversi documenti di cui si è servito in più di mezzo secolo di vita professionale.
La mostra nasce da qui, dalla volontà di contrastare la naturale dispersione dei materiali di lavoro che hanno segnato la vita del giornalista, e dall’ipotesi di riproporli puntando soprattutto, in un contesto come quello della galleria, sull’inedita valenza estetica dei documenti visivi ritrovati.
Dietro questi documenti c’è un’esistenza in cui non è possibile disgiungere le inclinazioni personali dai metodi di lavoro; c’è la storia di una vocazione originaria e mai sopita ad esplorare e raccontare la realtà che ci circonda, a percorrere sentieri non battuti, a scalare nuove vette, a scrutare orizzonti inediti.

La grande curiosità di Kusch e l’amore per il suo mestiere, lo portavano sempre a cercare di incontrare nuove persone. Era ugualmente motivato a colloquiare amabilmente e rispettosamente con un oste appena conosciuto in un ristorante, come con un ministro ad un ricevimento ufficiale. Il corpus fotografico in mostra – costituito in parte da materiale di agenzie stampa nazionali e internazionali e in parte da scatti effettuati dallo stesso Kusch – ruota principalmente attorno al lungo viaggio al Polo Sud compiuto nel 1961 a seguito della spedizione “Deep Freeze”, nell’ambito del Programma Antartico degli Stati Uniti: uno dei maggiori progetti di ricerca intrapresi prima della conquista dello spazio. Le immagini rappresentano scene di lavoro e di vita quotidiana nella stazione di McMurdo, una base scientifica e logistica tuttora attiva nelle missioni in Antartide.

E’ invece Roma – la città in cui Kusch si trasferì all’inizio della sua carriera, eleggendola a base operativa per il resto della vita e su cui scrisse anche due guide turistiche – la protagonista di altri scatti esposti: dalle immagini di Campo de’ Fiori (quando il mercato ortofrutticolo era ancora il protagonista assoluto della piazza), a quelle che mostrano il restauro della statua equestre di Marco Aurelio, eseguito nel 1988.
La vocazione internazionale di Kusch e la fitta rete di relazioni professionali da lui intessuta negli anni, affiancate a una spiccata curiosità personale, lo hanno condotto a raccogliere – in un’ epoca pre-digitale, quando il lavoro giornalistico si alimentava e produceva informazioni su diversi supporti fisici – un ricco e variegato insieme di documenti non solo fotografici. Oltre alle foto, la mostra presenta infatti stralci di corrispondenza, estratti di cartelle-stampa, articoli di giornale, e altre pubblicazioni riconducibili a diversi significativi eventi della nostra storia recente.
Fra i libri provenienti dalla biblioteca di Kusch figura ad esempio Milano 2. Una città per vivere, destinato alle prime famiglie che a metà degli anni settanta si trasferirono nel centro residenziale progettato dalla Edilnord di Silvio Berlusconi: un’autentica rarità bibliografica, ma soprattutto una fonte preziosa quanto curiosa (con testi di Enzo Siciliano, Natalia Aspesi, Gianni Brera) sulla genesi di quel nuovo miracolo italiano, che il Cavaliere riuscirà a vendere successivamente a un’intera nazione, ma non ai cronisti più attenti alla stampa internazionale, fra cui lo stesso Kusch.
Un altro protagonista del progetto espositivo è il magnetofono originale utilizzato dal giornalista per la registrazione di interviste e conferenze. Negli spazi di s.t. foto libreria galleria, sarà possibile ascoltare alcune di queste bobine magnetiche, con le voci di diversi protagonisti della vita politica italiana del passato: da Berlinguer a Pertini.
Per i Deutschrömer, i “tedeschi romani” della città, Erich Kusch è stato per mezzo secolo punto di riferimento e di ispirazione. Il giornalista era presidente del centro culturale italo-tedesco
Villa Vigoni e per alcuni anni membro della giuria per la borsa di studio della Casa di Goethe.

No men at work. Scene inanimate di lavori svolti

s.t. foto libreria galleria presenta No men at work. Scene inanimate di lavori svolti, una mostra che trae spunto dal tema del lavoro, attorno a cui ruota la XI edizione di Fotografia – Festival Internazionale di Roma.

Scene inanimate di lavori svolti. Prosegue la ricerca sugli archivi fotografici dispersi, su immagini riconducibili a una molteplicità di pratiche extra-artistiche. Anziché individuare nell’homo faber, nel corpo in azione, la misura del visibile, si è scelto di puntare su quelle foto del passato in cui non v’è traccia di presenza umana e il lavoro si identifica con altri interpreti del processo produttivo.

Comunicato stampa
Il progetto, a cura di Matteo Di Castro, selezionato per il circuito del festival stesso, ci propone una rilettura originale di questo classico ambito di applicazione della fotografia documentaria del Novecento.
Protagonisti delle immagini in mostra, raccolte nel corso degli anni e selezionate per l’occasione, non sono infatti i lavoratori, nelle loro diverse forme di vita individuale e sociale, nella varietà delle mansioni e delle situazioni. Anziché individuare nell’homo faber, nel corpo in azione (seppure del tutto statico, inattivo, o a riposo) la misura del visibile, si è scelto di puntare su quelle foto del passato in cui non v’è traccia di presenza umana e il lavoro si identifica con altri interpreti del processo produttivo: ambienti di vario genere (magazzini, cantieri, uffici, officine, locali commerciali), macchinari e strumenti tecnici, forza-lavoro animale, sino alla merce vera e propria, alla promozione dei prodotti finiti: pesche, scarpe, automobili…

Lo still life, la messa in scena di un microcosmo senza vita, da una parte, e le vedute anche panoramiche di interni ed esterni parimenti vuoti, disabitati, non animati, si rivelano i punti di vista più ricorrenti in questa serie di scatti.

Dietro tali immagini -una cinquantina di stampe originali, non c’è dunque il documentarismo umanistico del fotoreporter, ma lo sguardo distaccato di una serie di professionisti, spesso direttamente ingaggiati da questa o quella azienda.

Ma al di là della genesi e delle implicazioni ideologiche di un simile repertorio iconografico, l’obiettivo della mostra è quello di cogliere e valorizzare l’inedita densità estetica di tali immagini del secolo scorso: quella vocazione metafisica e archeologica a catturare una realtà devitalizzata, che nutre tanta fotografia contemporanea.

Oltre alle stampe esposte a parete, la serata di apertura della mostra propone uno slide show con una più ampia selezione di immagini, abbinato al dj-set del giovane fotografo Paolo Teta.
La fotografia contemporanea sarà poi protagonista della serata 22 ottobre, con un secondo slide show curato da Artnoise: una collettiva di fotografi contemporanei che hanno affrontato nel loro lavoro lo stesso concept del progetto No Men at Work.

Inaugurazione: lunedì 1 ottobre, ore 19:00

s.t. foto libreria galleria
via degli ombrellari, 25 Roma
www.stsenzatitolo.it
dal martedì al sabato 10:30-19:30
ingresso libero

Claire Chevier

L’Accademia di Francia di Roma – Villa Medici – dal 18 settembre al 4 novembre ospita la mostra “Camminando” della Claire Chevrier. L’esposizione si inserisce tra gli eventi dell’XI edizione di Fotografia 2012 – Festival internazionale di Roma.

Camminando. “Realizzo delle serie fotografiche che hanno come base di partenza un punto: grandi città o luoghi di lavoro”. Nell’ambito della XI edizione di Fotografia, Festival Internazionale di Roma, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici – ospita la mostra fotografica di Claire Chevier, a cura di Eric de Chassey. Le opere sono esposte presso l’Atelier del Bosco della Villa.

Claire Chevrier nata nel 1963 vive e lavora tra Parigi e Mayet. Nel 2007-2008 è stata ospite dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici come borsista. Ha organizzato diverse mostre personali di grande rilievo e non solo in Francia. Attualmente è in preparazione una sua mostra presso la Biennale d’Art du Havre. Come lei stessa dice, il suo lavoro si interroga sullo spazio e sul posto che gli esseri umani hanno in questo spazio, cercando di tracciare quello che spesso ci sfugge al primo sguardo e prendendo come spunto creativo le grandi città e i luoghi di lavoro.

Il direttore dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici Éric de Chassey così descrive il lavoro dell’artista: “tutte le immagini di Claire Chevrier poggiano sulla ricerca di una buona distanza. La buona distanza, cioè, tra la fotografa e il suo soggetto che induce quella tra la fotografia e i suoi spettatori. «Buona» è un termine che qui non viene inteso in senso morale; esso piuttosto ha a che vedere con la questione dell’efficacia. Un’efficacia estetica, poiché tale pratica della fotografia appartiene a pieno titolo al regime dell’arte; e un’efficacia informazionale, poiché essa documenta una situazione concreta. Per quanto riguarda le immagini di grande formato (realizzate in particolare quando l’artista era pensionante a Villa Medici nel 2007-2008), lo sguardo circola sulla superficie, diretto dai meandri di un elemento strutturante (tubo, cavo, strada) e rilanciato da scansioni di dettagli significativi”.

E prosegue: “Per quanto concerne, invece, le immagini di piccolo formato viene proposto uno sguardo di profilo. Là dove si mostrano delle persone al loro posto di lavoro, esso è diretto dall’attrezzo che appare sul volto passando per la mano e la spalla, essendo l’occupazione meno visibile rispetto alla concentrazione. La differenza tra questi due formati risiede più negli sguardi da essi convocati che nei loro rispettivi soggetti. Che mostri paesaggi trasformati dall’attività umana o situazioni di lavoro più concentrate, Claire Chevrier adotta sempre una buona distanza tanto di fronte ai soggetti che ai suoi potenziali spettatori. E si tratta della buona distanza propria del rispetto attento e preciso, non imposta a priori, ma trovata nel momento stesso dell’esercizio dello sguardo e dell’incontro.

La mostra prevede quattordici opere allestite nell’Atelier del Bosco e due grandi baches che saranno posizionate sotto la loggia e nel giardino dei limoni di Villa Medici. Altrettante quattro opere saranno esposte al Macro nell’ambito del Festival di Fotografia.

Académie de France à Rome – Villa Medici
Viale Trinità dei Monti, 1 00187 Roma

Atelier del Bosco
10.45-13 e 14-19 (lunedì chiuso)
dal 25 settembre la mostra sarà integrata al percorso delle visite guidate.

Immagine: PE 09, lavoro realizzato nell’ambito della Résidence de recherche et de création du Centre Régional de la Photographie du Nord Pas de Calais

ROMA PROVINCIA CREATIVA