ANDREA GRANELLI

La città, il territorio e la creatività: a colloquio con Andrea Granelli sul concetto poliedrico di creatività a partire dagli aforismi di illustri pensatori, da Einstein a Munari da Valèry a Picasso.

La città, il territorio e la creatività
Vuole tentare una definizione di creatività?

Sulle definizioni si sono esercitati fiumi di intellettuali, professori, consulenti e non penso di poter aggiungere valore. Il concetto è poliedrico e polimorfico e ogni definizione soffoca la creatività. Quello che posso fare è citarvi alcuni brucianti aforismi che colgono aspetti parziali ma a mio avviso autentici della creatività: “I problemi non possono essere risolti con la stessa cultura che li ha generati” (Albert Einstein).
“Le mie idee sono le mie puttane… lasciare questa per un’altra, fermarle tutte senza fermarsi con nessuna …” (Diderot).
“Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi” (Bruno Munari).
“Il peggior nemico della creatività è il buon gusto” (Pablo Picassso).
“Un poema non è mai finito, solo abbandonato” (Paul Valéry).
“Il talento è un malessere liquido. Tutti abbiamo dei malesseri, ma generalmente rimangono solidi, statici e ingombranti. Negli artisti il malessere diventa liquido, si sposta in altre parti del cervello e inizia ad interagire con l’immaginazione” (Sidney Pollack).
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel settore delle nuove tecnologie?
La capacità e sensibilità di usare (o far usare) le nuove tecnologie in maniera nuova ma soprattutto utile e capace di dare senso all’utilizzo. Una (nuova) tecnologia non deve stupire ma tranquillizzare, deve creare complicità e intimità e non timore e sospetto, non deve essere sbattuta davanti all’utente ma deve essere nascosta e vegliare l’utente come un angelo custode… .
Quali sono i valori ‘altri’ che lei collega alla creatività?
L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a ‘cosa’ secondo lei?

La creatività va unità alla responsabilità, a un pensiero “etico” che vuole produrre cose utili, cambiare il mondo in meglio, ridurre le disuguaglianze; di questi tempi non basta produrre cose “nuove” e “carine”.
Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”?
E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

Certamente sì – anche se è poco nota e spesso si auto-rappresenta in maniera stereotipata (come un po’ tutte le “classi creative” della contemporaneità). Il vivere in una città d’arte, in una metropoli complessa, in un territorio dove il turismo culturale, l’industria audiovisiva, il software e le telecomunicazioni, l’aerospazio sono settori trainanti caratterizza i giovani creativi e li orienta verso specifici ambiti.
Quali sono secondo lei gli indicatori più interessanti dello stato di ‘salute’ della creatività romana?
La produzione di cose utili e il racconto del “tessuto creativo” come realtà esistente, sana, dinamica e soprattutto con la voglia di cambiare il mondo. Ciò è particolarmente importante in una città come Roma dove la fissità (legata alla presenza di capolavori dell’antichità tuttora presenti e “incombenti” ma anche di una classe politica e amministrativa particolarmente statica e poco visionaria – per non dire di peggio) è uno degli aspetti più fortemente legati all’identità della “città eterna”.
A che cosa dovrebbero portare, (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?
A creare maggiore attenzione (politica e mediatica) sul tema e permettere a un po’ di giovani di sperimentare le proprie capacità e sensibilità.
Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?
Non credo molto ai casi di successo trapiantabili ad altri contesti (soprattutto a quello italiano, noto in tutto il mondo per la sua specificità e refrattarietà ad accettare soluzioni “premasticate”). Ritengo che l’ideale sia fare in modo che la classe creativa diventi un aspetto normale di una società sana e che guarda al futuro. Fintanto che si parla dei “diversi” e si impongono le “quote rosa”… .
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale? Il caso che considerò più interessante è certamente Torino – città simbolo della cultura industriale – che ha reagito alle lacerazioni derivanti dalla sua forzata de-industrializzazione e “de-Fiatizzazione” in maniera energica e diffusa. Si è sviluppato infatti un vero e proprio tessuto economico e sociale di tipo “post-industriale” (enogastronomia, turismo e beni culturale, arte contemporanea, design…) grazie non solo ad una politica sapiente guidata dall’alto (olimpiadi, musei di arte contemporanea, “Torino capitale mondiale del design”, leadership nelle innovazioni eno-gastronomiche…) che però si è alimentata da un molte iniziative giovanili “dal basso”.

MASSIMILIANO TONELLI

La città, il territorio e la creatività dal punto di vista dell’arte. Ne parliamo con Massimiliano Tonelli che considera l’attività culturale come un vero e proprio ‘bene’ che fa bene all’economia.

Vuole tentare una definizione di creatività?
Non è una definizione. È uno stato d’animo, diciamo così. Ebbene, la creatività è tutto ciò che contamina e fertilizza positivamente gli altri settori, a lei circostanti, dell’economia. Senza la creatività, insomma, tutto il resto non voglio dire che non va, ma va a stento. Ecco perché è così strategica e cruciale.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel campo dell’arte?

Due elementi principali. La formazione e la produzione. In una città che vuole accrescere e coltivare una propria classe creativa sono fondamentali questi elementi: l’elemento formativo (università all’avanguardia, accademie…) e l’elemento produttivo (residenze, studi, disponibilità di spazi per atelier a costi contenuti).
L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a “cosa” secondo lei?

Come dicevo sopra, fa bene all’economia. Un contesto urbano o un territorio dove è alto il tesso di creatività e dove è folta la “classe creativa”, come la intendeva Richard Florida, è un territorio più ricco, dove ci sono maggiori opportunità e dove la qualità della vita è elevata.
Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”? E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

Assolutamente sì. La classe creativa romana deve aumentare, ma già esiste. Basti pensare all’indotto della tecnologia, sulla Tiburtina. O a quello che ruota attorno al cinema, che è una grande industria per la città. C’è poi la moda e, in particolare, l’artigianato d’eccellenza che è in crescita e che alcuni operatori stanno giustamente cercando di potenziare. Non è da trascurare l’aspetto enogastronomico, in una città che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante pur non arrivando ai ben noti livelli spagnoli degli Anni Novanta e degli Anni Zero. Infine c’è, ovviamente, l’arte contemporanea. Ci sono oggi tanti musei e centinaia di gallerie. Dieci anni fa non c’era nulla…
Quali sono secondo lei gli indicatori più interessanti dello stato di “salute” della creatività romana?

L’indicatore principale è la partecipazione. Il numero di persone che partecipano a iniziative a vario titolo collegate alla creatività. È una moltitudine di gente incredibile, che fa ben sperare.
A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?

L’obbiettivo degli investimenti deve essere quello di aumentare il numero degli esponenti della classe creativa presenti in città. Questo si deve fare. La percentuale della classe creativa sulla totalità della popolazione deve aumentare. E su questo occorre investire.
Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?

La ‘Classe Creativa’ non va trattata come un ghetto o una minoranza da tutelare. Deve crescere e cresce all’interno di un generico buon governo della cosa pubblica. Se vogliamo estendere, un trattamento, seppur involontario, è stato quello scaturito a Berlino negli anni Novanta: il mercato immobiliare permetteva il trasferimento in città, a pochissimo costo, di un gran numero di creativi e questo ha determinato il più formidabile esodo di designer, musicisti, artisti, stilisti da tutte le città verso una. Berlino è così diventata ed ancor oggi è una città che è leader al mondo grazie alla sua classe creativa, nonostante i problemi economici che strutturalmente la affliggono.

Massimiliano Tonelli (Roma, 1978) si è laureato a Siena in Scienze della Comunicazione. Ha moderato convegni, scritto saggi di cultura contemporanea e urbanistica, è intervenuto su diverse testate (Radio24, TimeOut, Formiche, Campus) e dal 1999 al 2011 ha fondato e diretto Exibart. Dal marzo 2011 ha fondato la testata Artribune.

ALESSIO DE’NAVASQUES

A.I. Artisanal Intelligence è un progetto promosso da Altaroma, ideato come piattaforma che possa unire arte, artigianato e moda per promuovere i giovani designer italiani, con “l’obiettivo di creare un vero e proprio database dinamico delle intelligenze artigianali vera ricchezza del nostro paese”. Approfondiamo con il curatore Alessio de’Navasques.

A.I. Artisanal Intelligence, perchè avete scelto questo nome?
Il nome A.I., ripreso dal film “Artificial Intelligence” di Steven Spielberg, significa appunto: Artigiani Italiani ma, anche, Artisti Italiani.

Come nasce il progetto?
Nasce da un’idea di Clara Tosi Pamphili, mente del progetto.
Roma nel suo disordine creativo, non ha sviluppato un sistema moda, ma è riuscita a preservare interessanti ed uniche realtà artigianali.
Io e Clara abbiamo sentito l’esigenza di dare voce a questi che potremmo definire “artigiani contemporanei d’avanguardia”, ossia stilisti e designer che decidono di iniziare le loro produzioni con serie limitate sotto il segno del “fatto a mano”, creando oggetti senza tempo in bilico tra arte e design.
La crisi economica ha potenziato questo processo produttivo mix di tradizione e innovazione, di lavorazioni industriali e finitura manuale.
A quali esigenze dei creativi artigiani cercate di andare incontro?
Cerchiamo di far conoscere al grande pubblico ma anche agli addetti ai lavori (blogger e giornalisti di fama internazionale) la ricchezza e la sapienza di queste forme di artigianato, sintesi tra tutti i saperi artigianali e il design di ricerca.
Cerchiamo di consigliare e indirizzare il loro lavoro seguendoli in ogni collezione e promuovendoli con articoli sul blog.

Quanti eventi avete sviluppato fino ad oggi?

Il progetto si dirama in due diversi eventi, A.I. Gallery e A.I. Fair.
Il primo promuove il Made in Italy e la sartorialità attraverso l’arte contemporanea, con una serie di eventi in studi d’arte e gallerie. È un percorso all’interno della città che segna le zone più interessanti e stimolanti di roma con istallazioni di moda.
Nell’edizione di luglio A.I. Gallery promuove una selezione di artigiani d’eccellenza che creano progetti artistici con la galleria o lo spazio che li ospita mentre nell’edizione di gennaio è dedicata a veri e propri progetti d’arte che mettono in relazione il legame sistema tra arti visive, performance e arte contemporanea. Nel luglio 2010 A.I. Gallery, è stata un percorso tra gli studi d’arte tra Trastevere, San Lorenzo, Testaccio; quella del luglio scorso si è sviluppata tra i vicoli del Ghetto, nelle gallerie d’arte dell’Associazione Artughet.
A.I. Fair, la fiera della vanità artigiana, invece, è concepita come la prima fiera italiana dedicata ai virtuosi del fatto a mano. Una selezione di eccellenze artigianali tra design e moda nell’atmosfera spigliata a metà tra fiera e mercato. Nella scorsa Altaroma la prima edizione di A.I. Fair è stata concepita come una grande festa dedicata agli artigiani, ospiti del Palazzo dei Congressi, accompagnati da performance d’arte e concerti.
Infatti, A.I. Artisanal Intelligence si struttura come blog, magazine organizzazione di eventi: perché avete scelto queste tre forme di comunicazione?
Sfruttando tempi differenti ci serviamo di queste diverse vie di comunicazione per lanciare un messaggio costante. A.I. Magazine è concepito a metà tra il magazine e la guida, una sorta di almanacco e vademecum delle realtà romane più interessanti di questo settore. Il blog punta ad una comunicazione molto più veloce, un focus sugli eventi di moda nazionali intrisi di artigianato. Gli eventi di A.I. costituiscono il contatto più diretto tra designer, pubblico e stampa.

Coniugare arte, artigianato e moda:
qual è il comun denominatore che vi permette di metterle in dialogo?

La ricerca dell’artigiano non subendo le tempistiche della moda e del prêt-à-porter,non è commerciale, per cui si avvicina molto di più all’arte. Ci sono artigiani che svolgono un lavoro di ricerca ripensando uno stesso capo per anni. Nascono così specifici oggetti tessili o accessori, carichi di contenuti culturali e pieni di ispirazioni artistiche.

Come lo fate?
Puntiamo a creare collaborazioni tra artisti e artigiani. Nascono così progetti sospesi tra innovazione, tradizione ed esperimento. La crisi economica ha stimolato artisti artigiani stilisti e performer a ritrovare la propria identità creativa nel nome del “fare”.

Qual è la vitalità del mondo dell’artigianato a Roma e nella sua provincia?
L’artigianato a Roma è molto vivo e stimolante: in quartieri come Pigneto, Monti, San Lorenzo, Ostiense, Portonaccio nascono, giorno dopo giorno, piccoli atelier e studi di giovani creativi. Il mood board della creatività romana incomincia ad essere davvero interessante e per la prima volta in questo settore Milano guarda a Roma.

Quante realtà siete riusciti a coinvolgere dalla vostra nascita fino ad oggi nei vostri eventi?
Circa 150 realtà diverse tra moda, arte, artigianato e design.

Per questa seconda edizione di A.I. Artisanal Intelligence quante realtà avete coinvolto?
Quest’anno A.I. Gallery coinvolge una decina tra artisti e artigiani dislocati nei tre appuntamenti. A.I. Fair ospita circa 30 espositori tra moda, design, fotografia e antichi mestieri manuali. Tra alcuni dei nomi che compaiono c’è una giovane artigiana, davvero eccezionale, Benedetta Bruzziches che realizza meravigliose borse con pellami pregiati nel suo laboratorio a Caprarola. Una piccola azienda a gestione familiare, dove l’arte del fatto a mano si tramanda da generazione in generazione. Potrete scoprire tutti gli altri artigiani il 29 gennaio nella manifestazione del Tempio di Adriano ad A.I. Fair.

Come si strutturano e differenziano i due eventi per quest’appuntamento con AltaRoma AltaModa?
A.I. Gallery propone tre eventi su tre giornate diverse.
Sabato 28 gennaio: L’origine della trama, alla Galleria Muga, installazione-scultura di Davide Dormino che parte dallo schema di un ricamo, rendendolo archetipo del gesto artistico contemporaneo.
Domenica 29 gennaio: Inedito di Carol Christian Poell, Motelsalieri ospita pezzi inediti del famoso stilista austriaco, artista e designer, con una vocazione forte alla manualità. Un’inconsueta unione di abiti, accessori arte e musica, un contesto realmente contemporaneo, sfaccettato, internazionale.
Lunedì 30 gennaio: The Diamond Pattern, l’evento proposto da BOMBA41. Caterina Nelli, Julia Frommel ed Emlliano Maggi, le tre menti creative di BOMBA41, cuciono e invitano il pubblico a cucire, in un atto creativo “comune”, per creare un tessuto unico, realizzato con i frammenti della trentennale attività artistica di Cristina Bomba.

A.I. Fair, fiera della vanità artigiana, oltre ad i 30 espositori avrà una sezione dedicata alla fotografia ed in particolare alla stampa artigianale. Sarà presente la mostra The Haunted Air di Ossian Brown ed una esposizione dei costumi delle sartorie teatrali, Farani, Annamode,Tirelli, Pieroni, Rocchetti&Rocchetti, un settore dell’artigianato in cui siamo leader nel mondo, ancora tutto da scoprire.
www.artisanalintelligence.it/

www.altaroma.it/ai/

(Foto di Simon d’Exéa)

ELISABETTA MAGGINI

La Provincia di Roma e la Camera di Commercio della Capitale hanno siglato il protocollo d’intesa sull’imprenditoria femminile. Ne parliamo con Elisabetta Maggini che lo considera il punto di partenza per far crescere le imprese femminili di Roma

Qual è l’intento di questo protocollo d’intesa?
L’obiettivo dichiarato è quello di valorizzare una delle grandi risorse del nostro territorio. Ecco, vorrei che non si leggesse questo protocollo come uno strumento assistenziale: puntare sulle imprese femminili significa infatti sostenere la parte più viva e dinamica del tessuto produttivo di Roma. I numeri dicono chiaramente che il contributo delle donne alla nostra economia, assieme a quello degli stranieri, è oggi uno dei maggiori fattori di resistenza alla crisi.

Da cosa nasce l’esigenza di siglare il protocollo?
In linea di principio sarei contraria all’idea che le donne debbano essere aiutate con strumenti ad hoc. Dovrebbero essere i loro stessi meriti a farle emergere. Ma è inutile negare la realtà. Nonostante i successi, o forse proprio a causa di questi, una donna che fa impresa incontra ancora troppe resistenze e difficoltà. Ecco perché purtroppo è ancora necessario moltiplicare le azioni a sostegno delle donne che vogliono fare impresa.

Che cosa costituisce quest’accordo?
Mi sembra un ottimo punto di partenza per far crescere ancora le imprese femminili di Roma. Occorre mettere in campo strumenti nuovi ed efficaci per liberare un enorme potenziale ancora in gran parte inespresso. Noi abbiamo puntato in particolare su tre fattori che ci sembrano fondamentali: creatività, innovazione, formazione. Scommettiamo cioè su quelli che ci sembrano i veri punti di forza delle nostre imprenditrici: l’inventiva, la capacità di produrre innovazione, la disposizione a includere i più giovani nei loro progetti.

Qual è il bilancio positivo delle esperienze precedenti?
Mi sembra che i numeri parlino in maniera molto eloquente: Roma è la città in cui, ormai da qualche anno, si registra il tasso più alto di crescita per l’impresa femminile. Il merito senza dubbio va ascritto soprattutto all’intelligenza delle nostre imprenditrici. Ma sicuramente questo processo di crescita è stato anche aiutato da alcune misure specifiche e, in particolare, dal dialogo tra istituzioni e associazioni di categoria.

Da quali esperienze provengono le imprenditrici che avete invitato?
Posso ripsondere tranquillamente da tutti settori: costruzioni, artigianato commercio, servizi, hi-tech… Nel CIF ci sono 24 rappresentanti di tutte le associazioni di categoria del territorio (da Federlazio ai diversi sindacati).

Secondo lei c’è un modello di riferimento europeo che può essere guardato come positivo?
Purtroppo siamo ancora nella condizione di dover guardare dal basso in alto quasi la totalità dei Paesi europei. Se però dovessi indicare un modello, sceglierei quello dei Paesi del nord Europa, come la Danimarca o la Svezia. Per i risultati raggiunti e per la tenacia e la coerenza con cui le donne di quei Paesi li hanno conquistati.

Elisabetta Maggini, ventinovenne romana, è laureata in Giurisprudenza e specializzata in Diritti Umani. Consigliere d’amministrazione e Responsabile legale del Gruppo Maggini, è anche membro del Consiglio Direttivo dell’ACER Giovani, l’Associazione Costruttori Edili di Roma e Provincia, ed è componente del Gruppo Comunicazione. Oltre a svolgere la professione forense presso lo Studio legale – amministrativo Tedeschini, dal 2008 collabora e scrive articoli per la rivista bimestrale “Costruttori Romani”. A partire dallo stesso anno è nello staff del Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti ed è impegnata soprattutto nel campo delle politiche giovanili, dell’associazionismo e della solidarietà. Nel corso di questi anni la sua sensibilità al sociale l’ha vista coinvolta in diversi progetti rivolti, in particolare, ai giovani. Proprio per questo nel 2011 fonda l’associazione Vocazione Roma, per giovani imprenditori, professionisti e creativi romani, tutti sotto i quarant’anni, di cui è Presidente. È coordinatrice del Gruppo di lavoro Comunicazione e Promozione del Comitato per la Promozione dell’Imprenditorialità Femminile della Camera di Commercio di Roma.

CARLO INFANTE

Conosciamo Carlo Infante e Urban Experience, un’intervista per parlare di web e territorio, di interattività e performing media. Connessioni e progettazioni urbanistiche partecipate per “giocare” nelle città attraverso la creatività sociale delle reti.

Vuole tentare una definizione di creatività?
La questione della creatività non riguarda solo l’espressione artistica dei linguaggi ma la capacità di ambientarsi in nuovi contesti, come oggi è quello del web, il nuovo spazio pubblico. Il nuovo luogo dello scontro con i sistemi cristallizzati e dell’incontro con le nuove generazioni. Il web è un ambiente da antropizzare in via direttamente proporzionale al nostro desiderio di mondo possibile, inventando nuovi modi di “comunicare con” (a differenza del “comunicare a”), re-imparando a condividere la conoscenza e a renderla funzionale alla progettazione di futuro. Un buon concetto di creatività è quello suggerito dal matematico francese Jules-Henri Poincaré: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. E penso a quanto questo suggerimento sia decisivo per capire il fenomeno del mash up in Internet, implementando diverse applicazioni su operatività che rilanciano il principio open source nel senso lato del termine. È questa tensione generativa, aperta, che può dare sviluppo a ciò che definisco la creatività connettiva.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel settore che lei ha approfondito?
Ma perché parlare di industria? È verso l’artigianato diffuso e riconfigurato che penso valga la pena porre la migliore delle attenzioni. Un dato che riguarda  l’intero assetto produttivo del sistema Paese, basato su un sistema polverizzato di piccole imprese che non aspettano altro che di essere aiutate a fare sistema, per dare senso a quella parola resa ridondante che è Innovazione. C’è un mondo sommerso di creatività digitale che non viene intercettato e rivela una potenzialità straordinaria che non può più rimanere limitata nella dimensione underground. L’ambito verso cui intravedo opportunità strategiche è quella che definisco l’Innovazione Territoriale attraverso cui la comunicazione interattiva possa promuovere, narrare, ottimizzare (anche in termini organizzativi, grazie alla possibilità orizzontale delle reti) le risorse (da quelle culturali a quelle artigiane ed eno-gastronomiche) dei nostri territori. La gestione delle risorse informative funzionali a questo rapporto nuovo con il territorio, a partire dall’uso di mappe interattive e di sistemi gps implementati sugli smart-phone, rappresenta un’innovazione emblematica, intimamente culturale e allo stesso tempo capace di dare sia spinta imprenditoriale sia coesione sociale. Ciò comporta un’attenzione crescente sia verso l’evoluzione delle tecnologie della comunicazione sia verso quei comportamenti creativi che ne indirizzano i valori d’uso. Inscrivere l’uso delle reti nell’azione attraverso il territorio, di cui il turismo è solo una delle forme d’impresa, è una delle prerogative dell’ambito di ricerca sul performing media: una parola nuova per cose nuove. Sottende quella creatività sociale capace d’interpretare l’uso delle reti e dei nuovi media interattivi. Trattare d’innovazione comporta questo: iniziare a sperimentare pratiche neanche pensabili fino a poco tempo fa. Performing media è infatti ciò che concerne questa tensione creativa per l’utilizzo strategico delle reti e in particolare la progettazione delle interazioni possibili tra web, multimedialità e territorio. In questo senso il geoblogging è una pratica emblematica per la proprietà di scrivere “storie sulle geografie”, dando forma ai flussi della mobilità sociale e culturale, rilanciando l’idea di un turismo partecipativo al tempo del web 2.0. Una soluzione funzionale al geoblogging, in termini d’interaction design, sono i mobtag , particolari codici grafici che trasmettono testi o link attivi agli smartphone. L’utilizzo di queste tag nella segnaletica (come sulle paline di bus, nei depliant, nei menù,etc) può rimandare alle pagine web pertinenti di un geoblog, creando una stretta connessione tra reti ed esperienza diretta nel territorio. Esempi emblematici di questa sperimentazione sono i geoblog per la Via Francigena del Lazio (www.geoblog.it/francigena ) o quelli realizzati con i bambini di Corviale (www.geoblog.it/arvalia ) o del Monferrato (www.geoblog.it/castell), sviluppato per l’inaugurazione del castello di Casale Monferrato con delle azioni-radioguidate e un “civico assedio” via bluetooth esercitato dai giovani delle scuole casalesi). Queste pratiche creative nel web, oggi concentrate intorno al social network www.urbanexperience.it, tendono ad esprimere una ricerca strategica di nuovi modelli di sviluppo che in questa fase di crisi acuta dei modelli produttivi devono essere considerati come il tentativo di una via d’uscita in un processo a medio-lungo termine che può permettere alla nuova generazione d’intraprendere delle attività su cui è opportuno investire. Si tratta di quel “bricolage antropologico” di cui parla Levi Strauss per definire le pratiche ludiche di una generazione che cresce nell’arco di una crisi di transizione in cui si stanno ridefinendo i principi paradigmatici di socialità e di sviluppo.
Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”? E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama della capitale e del suo territorio?
Roma ha registrato un netto ritardo sul fronte dell’innovazione tecnologica, non tanto per quanto riguarda  l’hi-tech (come sul fronte delle tecnologie aerospaziali e satellitari della Tiburtina Valley) ma per un deficit di cultura dell’innovazione. È mancata una strategia di sistema per armonizzare le diverse tensioni di ricerca avanzata con il tessuto sociale, privilegiando la dimensione produttiva cine-televisiva (per la sua configurazione industriale spesso incongrua) a quella creativa ed artigiana del web, adagiandosi su un’idea massiva dell’offerta di cultura convenzionale. Nonostante questo deficit di sistema nella capitale sta emergendo una creatività digitale diffusa, espressa da una molteplicità di piccole imprese e centri di ricerca che stanno scandendo una forte accelerazione nell’impatto con la Società dell’Informazione. La peculiarità di questo contesto romano riguarda principalmente la rilevazione di alcune caratteristiche che fanno di questa città un luogo talmente ricco di sedimentazioni storiche e antropologiche da risultare unico al mondo. È qui che va fatto un lavoro sottile che va oltre le logiche del business per cogliere le diverse sfumature che vanno dalle imprese etiche dell’innovazione sociale a quelle espressioni creative che sono inscritte nella sua aura desiderante di città fatale. Roma è una città a maglie larghe, accoglie ma disperde. La sua vocazione cosmopolita le ha permesso di esprimere una moltitudine di opportunità, tensioni vitali che hanno prodotto una complessità urbana “meticcia” nell’intersecare le differenze culturali. Ciò ha determinato una dinamicità straordinaria anche se dispersiva: una confusione eccellente che s’è tradotta, in alcuni momenti, in un’emblematica capacità d’interpretare lo spirito del tempo. Sull’onda del boom economico degli anni Sessanta, mentre le grandi città del nord scandivano il ritmo dello sviluppo industriale, Roma ha dato il massimo di sé rivelando uno sguardo disincantato (e per alcuni aspetti edonista) verso il futuro di un modello sociale tutto da sperimentare. È in questo clima che sono spuntate come funghi, dalle ife della città sotterranea, geneticamente underground, le Cantine dell’avanguardia teatrale romana o una mostra come “Contemporanea” che nel 1973 fece del parcheggio sotterraneo (allora non ancora inaugurato) di Villa Borghese un evento apripista nello scenario mondiale. Si tratta di “naturali” espressioni culturali di un genius loci inscritto nella matrice arcaica di Roma. Viene da pensare a quelle grotte, ricostruite anche artificialmente nella Roma del I secolo d.c., dove trovavano luogo (teatro) i templi mitriaci. Se l’Avanguardia, sia per il teatro di ricerca sia per l’arte contemporanea, può essere considerato uno dei brand più significativi di Roma, un altro segno forte della città è indubbiamente quello di un appeal turistico che necessità di un rilancio qualificante innervato alle politiche di una urgente Cultura dell’Innovazione. Il ritardo accumulato da Roma può quindi essere indubbiamente recuperato interpretando le potenzialità peculiari di una città che può porsi come Digital Caput Mundi, attestandosi come realtà crocevia delle diverse culture dell’innovazione, da quelle sperimentali a quelle più strettamente imprenditoriali. È per questo che si sta ora delineando una progettazione diffusa di social network, di performing media e d’interaction design urbano per misurarsi sia con la mobilità (una delle questioni irrisolte di Roma) sia con una user experience che contribuisca a costruire una rete del valore che interpreti l’interattività in sostanziale interazione sociale. Un valore capace di produrre sia ricchezza che qualità della vita.
A che cosa dovrebbero portare, (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?
Le poche risorse a disposizione dovrebbero promuovere partecipazione attiva, un concetto che va ben oltre le logiche del marketing convenzionale. Credo che il punto cardine sia quella Social Innovation che arrivi a dare senso a quel general intellect di cui parlava Marx e che oggi va oltre la diffusione delle conoscenze per promuovere il valore d’uso creativo delle tecnologie della comunicazione perché possano rivelarsi una pari opportunità d’accesso all’evoluzione dei sistemi sociali. Non è un buon sentimento di sinistra ma il modo per creare le condizioni perché si sviluppi un mercato evoluto, producendo ricchezza. Perché accada mercato serve la società. Bisogna porre in essere un’analisi dinamica dei modelli economici possibili determinati dalla partecipazione attiva alla Società dell’Informazione, dove sono gli utenti a produrre informazione, senso e nuove relazioni sociali. Fenomeni come gli User Generated Content, il Crowdsourcing, il Performing Media, il web 2.0 nel suo complesso, fanno intuire come la partecipazione attiva possa creare una nuova Rete del Valore, molto diversa da quella Catena del Valore basata sul modello industriale, meccanico e lineare proprio del sistema fordista. Il fatto di promuovere non solo i consumi culturali ma la produzione di senso che gli utenti esprimono frequentando gli spazi della cultura (ricordiamoci, ad esempio, che theatron significa “luogo dello sguardo”: gli spettatori chiudono il cerchio dell’esperienza teatrale… chi fa tesoro dei loro sguardi?). Fare economia significa non disperdere risorse: perché non ottimizzare la ricchezza prodotta dall’esperienza degli spettatori, finalmente intesi come cittadini attivi? In questo senso con il Museo-Laboratorio della Mente (riconosciuto quest’anno, dall’ICOMM come museo più innovativo d’Italia), Urban Experience sta curando al S.Maria della Pietà delle Palestre di Cittadinanza Interattiva che vedono coinvolti centinaia di ragazzi delle scuole superiori per l’uso dei social media tes a qualificare la partecipazione alla discussione sui temi proposti da una rassegna delle “idee pericolose” (corpo, memoria, social network, resistenza…). Questa attenzione verso la user experience vale anche per i paesaggi, le architetture, i luoghi da esplorare, le microstorie delle comunità, i segreti dei mestieri sapienti, le sensorialità del gusto.Tutto questo può rivelarsi come opportunità per la dimensione metropolitana di Roma che può fare di uno stato d’animo un modello di sviluppo. È a partire dalla riqualificazione del nostro territorio, per instradare i nostri migliori processi produttivi (dal manifatturiero a quelli del trasferimento tecnologico) verso un un’innovazione territoriale che riattivi non solo il PIL ma anche il FIL (Felicità Interna Lorda).
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?
Vorrei citare l’esperienza connessa al lavoro svolto a Torino sulle culture dell’innovazione nei quindici anni in cui ho vissuto a Torino. Un’esperienza basata sulla creatività sociale delle reti, espressa nella sostanziale interazione tra l’impegno radicato nel territorio e nell’attività di educazione alla legalità (con Libera) e l’innovazione espressa dai nuovi media capaci di tradurre l’interattività in nuova interazione sociale. Tutto ciò si è articolato in una serie di iniziative promosse insieme ad associazioni legate al Gruppo Abele, a partire dall’esperienza del geoblog (glocalmap) per le Olimpiadi Torino 2006 (progettato prima che arrivasse googlemaps) che permetteva di scrivere “storie nelle geografie”, con post georefenziati sulle azioni svolte in città (cosa che googlemaps quando è arrivato non permetteva di fare… il sistema api è stato aperto solo alla fine del 2007). Per la giornata nazionale antimafia del marzo 2006 le decine di post (con foto caricate via mms) taggarono passo passo (indicando strada e numero civico… i gps integrati non esistevano…) il movimento del corteo. Uno dei primi eventi di geomapping, in assoluto. Nel gennaio 2007 (in occasione della giornata della memoria del 27 gennaio) fu realizzata una Mappa Emozionale dei Luoghi della Memoria Antifascista http://acmos.net/memoria/ funzionale ad un’azione che dall’Università di Palazzo Nuovo giunse alla Stazione di Porta Nuova dove partiva il treno per Auschwitz, lungo il percorso si leggevano con gli smartphone i mobtag (o qrcode) che rimandavano alle schede informative sui luoghi della memoria (ex ghetto, casa Gobetti, etc…) dove era possibile rilasciare commenti. Fu il primo evento di mobtagging. Queste esperienze si sono evolute poi nella costituzione del Performing Media Lab http://xmedialab.acmos.net che dal 2008 ha sede, in collaborazione con Libera, in un bene confiscato alle mafie (a Via Salgari, a Torino) con un’attività costante che ha visto l’animazione (con l’instant blogging) della Biennale Democrazia. In quello spazio ha ora sede una società cooperativa d’impresa sociale che sviluppa piattaforme open source e applicazioni mobile.

Carlo Infante è docente freelance di Performing Media, presidente e managing director di Urban Experience. Ha diretto, negli anni Ottanta, festival come Scenari dell’Immateriale, condotto (anche come autore) trasmissioni radiofoniche su Radio1 e Radio3, televisive come Mediamente.scuola su RAI3 e nel 2009, la trasmissione Salva con Nome su RAInews24, ideato (in occasione delle Olimpiadi Torino 2006, prima di GoogleMaps) format web come il geoblog. È autore, tra l’altro, di “Educare on line” (1997, Netbook), “Imparare giocando” (Bollati Boringhieri, 2000), “Edutainment” (Coop Italia, 2003), “Performing Media. La nuova spettacolarità della comunicazione interattiva e mobile” (Novecentolibri, 2004), “Performing Media 1.1 Politica e poetica delle reti” (Memori, 2006) e di molti altri saggi e articoli per più testate (tra cui, attualmente, NOVA-Sole24ore).

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