CARLO MARTINO

Riflessioni sulla creatività dell’architetto-designer Carlo Martino: la relazione tra città, territorio e cultura, oggi è rivalutata e dà vita a diverse espressioni artistiche

La città, il territorio e la creatività
Quello che stiamo vivendo è un periodo storico in cui, via via, si sta rivalutando la relazione con il territorio e la cultura di origine delle diverse espressioni artistiche e culturali. Si parla di “multiculturalismo”, ed autorevoli studiosi quali Umberto Galimberti e Michel Maffesoli concordano sul fatto che oggi l’occidente guarda con attenzione e con pariteticità le manifestazioni delle “culture altre”, proprio per il contenuto di diversità che esprimono. Solo una creatività che riconosce la relazione con il territorio di origine può esprimere oggi qualcosa di nuovo e di diverso.
Vuole tentare una definizione di creatività?

L’impresa è molto ambiziosa. Direi che sicuramente ha a che fare con una spiccata capacità di “visione”, o di “pre-visione”, di ciò che potrà essere il nuovo, l’inconsueto, l’originale esito di una elaborazione intellettuale e poi professionale. La creatività tende a rovesciare e a sovvertire ciò che è dato. Tende a proporre nuovi equilibri e nuove soluzioni. È una capacità del tutto incontrollabile, ma sicuramente educabile, di fare sintesi e di elaborare nuove connessioni tra dati certi, tra fatti-cose già esistenti, ma che ricombinati possono offrire nuovi assetti, nuove funzioni, nuove possibilità. Sono molto importanti gli stimoli alla creatività, ed un territorio come la provincia di Roma e la metropoli stessa, ne offrono numerosi.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel campo dell’architettura e del design?

Oggi direi le reti, i sistemi e aggiungerei la trasversalità. Esistono delle reti generazionali, gli ex studenti piuttosto che i competitor; oppure reti associative, ordini professionali e associazioni culturali. Esistono poi le reti culturali, che sono strettamente legate ai territori ed ai momenti storici. Per esperienza diretta posso testimoniare che il confronto con altri professionisti o con altri studiosi è fondamentale. La relazione tra questi e il territorio in cui si opera, stimola oggi, più che mai, un senso di appartenenza, una voglia di community, ed in alcuni casi qualche progetto collettivo di promozione della creatività. Dicevo della trasversalità. La creatività si alimenta di connessioni incontrollabili, e gli stimoli – gli elementi da connettere – possono avere origini molto diverse: arte, multimedialità, letteratura, cinema, moda. Bisognerebbe promuovere sempre più azioni di “linkaggio”, come l’osservatorio della Creatività della Provincia di Roma sta facendo.
Quali sono i valori “altri” che lei collega alla creatività?

La positività, l’ottimismo, la solidarietà, la generosità. Alla base di una nuova architettura o di un nuovo prodotto di design c’è sempre la convinzione di poter migliorare la vita di ognuno di noi. Anche soltanto attraverso il semplice godimento estetico. In realtà dietro c’è molta più ambizione, spesso limitata dal sistema produttivo o dal mercato. Per cui dietro ogni atto creativo potrebbe nascondersi un “dono” da fare agli altri, come direbbe Franco La Cecla. Oggi tra i creativi dovrebbe aver preso piede anche una certa sensibilità ecologica. Uso il condizionale, perché spesso non è così, o c’è soltanto un superficiale allineamento allo scenario della sostenibilità ambientale.
L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a “cosa” secondo lei?

È il sale della vita. È il piacere, forse appena dopo le questioni sentimentali. Fare cultura dà senso alla vita contemporanea, così come lo attribuiva in passato alle azioni e alla vita dei nostri avi. Fa parte delle nostre propensioni.  Personalmente mi sorprendo ancora oggi a godere delle “buone” idee avute da altri. Ed anche del controllo degli strumenti che hanno utilizzato per esprimerle. Parlo di buone idee, nel cinema, in letteratura e chiaramente nell’architettura e nel design. Per fortuna questo sentimento si trasforma sempre meno in invidia, e sempre più in una spinta all’emulazione, come consiglio ai miei studenti. L’attività culturale crea comunità e senso di appartenenza, le cosiddette “tribù” antropologiche. Gruppi che condividono valori culturali, interessi e passioni. Fare cultura fa bene alla società ed oggi si è visto che è anche un modo per fare business.
Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”? E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

La classe creativa romana, estesa a tutta la provincia, deve prendere coscienza di se e delle sue potenzialità.
Questo può avvenire solo favorendo connessioni e confronti, come appunto l’iniziativa della Provincia sta cercando di fare, e come faccio io attraverso il mio lavoro di direttore della rivista “Design for Made in Italy. Sistema design nelle imprese di Roma e nel Lazio”. La presa di coscienza e la fiducia nelle proprie capacità aumenta andando fuori, misurandosi con i miti ed i falsi miti creati dalla “comunicazione” e dai media. Posso affermare con certezza che i creativi, giovani e meno giovani, di questo territorio non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi milanesi o veneti, per fare degli esempi italiani. Ma non hanno nulla da invidiare nemmeno ai talenti francesi, inglesi o americani. Molti miei ex studenti hanno varcato il confine dell’Italia, si sono distinti ed in alcuni casi anche affermati. La questione di fondo, il problema, è solo dei sistemi d’informazione e di promozione. Sono pochi e sono deboli. Da anni osservo gli esiti della creatività, prevalentemente nell’ambito delle diverse espressioni del design. Ebbene, c’è una crescita molto interessante in termini di qualità e di quantità. Una sola raccomandazione. Soprattutto i giovani devono riconciliarsi con la storia, con il passato, in termini di nuove relazioni con i segni di questo territorio. Segni dell’antichità, del Rinascimento e del Barocco, dell’Eclettismo, del Razionalismo, ecc. da assorbire, manipolare e proiettare nel futuro. Basta guardare cosa hanno fatto della loro tradizione fiamminga i designer di quel territorio.
Quali sono secondo lei gli indicatori più interessanti dello stato di “salute” della creatività romana?

La partecipazione dei nostri creativi a eventi esterni: mostre, fiere ecc. Le pubblicazioni, sempre più numerose. La proliferazione di mostre sul territorio.
A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?

A quello che dicevo prima. Porterebbero alla creazione di una community più consapevole delle proprie capacità e delle proprie potenzialità. A una rete di relazioni, di scambi e di progetti.
Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?

Non posso ampliare gli esempi di politiche internazionali a supporto di tutte le professioni creative, ma posso riportare alcune iniziative riferibili all’ambito del design. Dallo storico Design Council Britannico che da sempre incide a livello governativo per definire azioni e misure a supporto del design, all’emblematico VIA – Valorisation de l’Innovation dans l’Ameublement – francese che ha tenuto a battesimo designer oggi famosissimi, fino alle più recenti iniziative asiatiche dei design center – vedi Hong Kong – fino a Seoul divenuta World Design Capital 2010. Tutte iniziative in cui la politica ha deciso di investire sul design, convinta del suo valore strategico per il futuro dell’economia e dello sviluppo.
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?

Il VIA appunto. Ha una storia di circa 30 anni, ed è stata voluta dall’industria del mobile francese e dal ministero dell’industria. Continua ancora oggi a promuovere la creatività e la ricerca in questo settore. Ma l’Oriente oggi pullula di iniziative analoghe.

Carlo Martino
Architetto e designer (Bari 1965). Carlo Martino è professore di Disegno Industriale presso “Sapienza” Università di Roma. Membro della rete di ricerca nazionale SDI – Sistema Design Italia e vicepresidente dell’ADI Lazio, l’Associazione per il Design Italiano, è anche membro del Consiglio Italiano del Design, presso il Ministero delle Attività e dei Beni Culturali, e dell’Osservatorio della Creatività della Provincia di Roma. Negli anni ha curato mostre di design e di grafica. Nel 2004 ha fondato la “Studiomartino.5 srl”, una società di servizi di progettazione attiva nel design strategico e nel product, graphic ed exhibit design. Tra le aziende con cui ha collaborato: Catalano, GSI, Gedy, I Conci, Ad Hoc, Metaform, Pixel e Unopiù. Nel 2003 ha ottenuto una selezione nell’ADI INDEX con il progetto di sanitari ZERO+ ed il premio internazionale Design Plus con il progetto “Help e Verso”; nel 2004 altri suoi prodotti hanno ottenuto l’IF Product Award di Hannover; nel 2005 il progetto dello Stand Catalano al Cersaie ha ottenuto un’altra selezione nell’ADI INDEX nella sezione “Visual Design”. Nel 2008 il prodotto “Minnesota Wood” per la Gedy ha ottenuto l’IF Product Award e nel 2009 lo stesso riconoscimento gli è stato conferito per il lavabo in pietra “Otto”, prodotto da IConci. Del 2011 è il Design Plus di Francoforte per il “Termoarredo TIKI” di Ad Hoc. Redattore capo della rivista bimestrale “Disegno Industriale”, dalla sua fondazione nel 2002 fino al 2005, ed oggi responsabile della rubrica Designer della stessa testata, ha fatto parte della redazione design della rivista “Il Progetto”. Dal gennaio 2009 è direttore dell’allegato alla rivista Disegno Industriale “Design for Made in Italy. Sistema design nelle imprese di Roma e del Lazio”. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi per altre testate (Rassegna, Ottagono, AR, Op.cit, Frame, G.d.A, Costruire in Laterizio, Il Giornale dell’Architettura, GUD, Arte e Critica, Bagno e Design, Il Bagno Oggi e Domani, Asian Ceramics, ecc…). È, inoltre, autore di numerose voci e biografie nell’ambito del design per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana di Giovanni Treccani, del volume sull’opera di Gaetano Pesce edito da Marsilio, e dei volumi Outdoor Restyling e Design on the Edge, editi entrambi da Palombi.

SANDRO IOVINE

La città, il territorio e la creatività. Parliamo del campo della fotografia con Sandro Iovine, per il quale è diventata una professione che ha oltrepassato i set di ripresa e ormai coinvolge ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, il professionista in tutti gli aspetti della sua vita.

Vuole tentare una definizione di creatività?
Nel termine stesso di creatività è implicita una radice che rimanda a quell’atto generativo che permette di passare da una condizione in potenza ad una in fieri. Per questo, senza nutrire la presunzione di dare una mia definizione del concetto di creatività, ritengo che con questo termine si possa identificare l’insieme di azioni che, in una correlazione più o meno evidente, consentono di raggiungere qualcosa se non di nuovo, quantomeno di originale per risultato o soluzioni. Personalmente potrei anche sposare l’assiomatica definizione di Poincaré,  per il quale la creatività si esprime nella capacità di unire elementi esistenti per mezzo di nuove combinazioni e connessioni con il fine dell’utilità. Senz’altro implica la rottura degli schemi precedenti a favore della costruzione temporanea di nuove regole. Per poter accettare questo tipo di definizione è però necessario mettere i puntini sulle i, ovvero chiarire alcuni concetti. Innanzitutto la necessità di disporre della capacità di unire elementi differenti e prima ancora quella di scegliere gli elementi da mettere in relazione. Quest’ultimo punto ovviamente presuppone che ci siano esista una competenza  acquisita, ovvero una approfondita conoscenza degli elementi da mettere in relazione, grazie alla quale effettuare un’oculata selezione. È necessario poi che ci sia un’intuizione che guidi le scelte funzionali distillando gli elementi utili tra quelli possibili o a disposizione.  Ma senza l’esperienza acquisita sul campo che sollecita l’intuizione, il raggiungimento dei risultati sarebbe alquanto aleatorio. D’altronde senza una persistenza di fronte agli inevitabili errori sarebbe impossibile perseguire realmente un risultato. Ecco quindi che in accordo con Poicaré convengo sulla necessità di quattro elementi per poter parlare di creatività: Competenza, Esperienza, Intuizione e Tenacia. In fondo al concetto di creatività mi pare si possa accostare la definizione di genio data da Edison: «genio è l’uno per cento d’ispirazione e il novantanove per cento di sudore. Quindi, un genio è spesso soltanto una persona di talento che ha fatto tutti i compiti a casa». Ma un’altro concetto credo sia opportuno precisare. Quello di utilità. Sotto il profilo commerciale ritengo sia perfettamente altre parole. Il principio che sottende il guadagno suppongo che al giorno d’oggi sia chiaro a tutti. Credo però che l’utilità non possa e non debba essere valutata solo in termini di registro di cassa, ma vada misurata anche e soprattutto in base a criteri più ampi. Si deve in altre parole prendere in considerazione il fatto che al di là del ritorno economico immediato, esistono processi di medio lungo periodo in cui un progetto creativo può rivelare la propria utilità, ad esempio, come trampolino di lancio per nuove idee. Credo fermamente che la parola ricerca dovrebbe essere sempre sottintesa ogni volta pronunciando il termine creatività o i suoi derivati. Di recente mi è capitato di incontrare e intervistare Frank Horvat, un fotografo famoso con qualcosa come sessantacinque anni di professione alle spalle, parecchi dei quali trascorsi all’interno di Magnum. Bene lui, oggi, ha 83 anni e continua a ricercare nei meandri più profondi della fotografia, adeguandosi alle nuove tecnologie, scoprendo linguaggi che negano alcuni degli statuti su cui la fotografia si è fondata finora. Questa credo sia la creatività, quella vera, applicata come ragione di vita. So di avere una visione in tal senso fortemente condizionata dal romanticismo tedesco del diciannovesimo secolo, ma credo che la creatività sia un istinto insopprimibile, qualcosa con cui ci si deve confrontare fino all’ultimo istante di vita. Non perché si è deciso di votarsi alla sua causa, ma semplicemente perché non se ne può fare a meno.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel campo della fotografia?
Se avessi una risposta certa a questa domanda credo che potrei vantare un credito vitalizio nei confronti dei professionisti che operano nel settore. Al di là delle battute, oggi come oggi è estremamente difficile poter definire quali siano gli elementi che definiscono l’industria creativa in ambito fotografico, in quanto il settore ha subito una serie di trasformazioni molto importanti che hanno generato cambiamenti molto veloci e forse anche poco prevedibili nel medio periodo. Al momento attuale credo, con Peter Galassi, che ancora nessuno sia seriamente in grado di andare oltre una descrizione didascalica dello status quo. Il quale per altro appare estremamente fluido. Il livello commerciale connesso alla creatività fotografica è drasticamente crollato, tanto da indurre non pochi studi e professionisti a rivedere il loro profilo in modo spesso radicale. La conseguenza di questo fenomeno è che oggi tutti sono creativamente impegnati a ridefinire il loro status operativo, a inventare settori che fino a ieri non esistevano, a costruire o vantare professionalità nuove. Ancora una volta e a costo di ripetermi credo che il fondamento per poter operare una ricollocazione della fotografia nell’ambito creativo sia la ricerca continua di nuove strade e strategie operative e di mercato. La professione è rimasta per decenni uguale a se stessa inducendo chi la praticava a limitare la sua creatività (laddove il cliente lo avesse permesso) alla parte finale della produzione, ovvero alla costruzione dello scatto. Oggi il problema deve necessariamente essere esteso, a tutto il processo produttivo. Innanzitutto occorre ripensare la fotografia e renderla uno strumento più flessibile di prima, cercando quelle nicchie in cui può rivelarsi insostituibile supporto alla creatività. Il che significa come minimo informarsi continuamente sulle possibilità offerte dalle tecnologie in aggiornamento quotidiano. E poi sperimentare, sperimentare continuamente, andando contro le regole solo dopo averne apprese le basi. Se fino a ieri la creatività contava soprattutto nello scatto, oggi si può dire che conta anche nello scatto. La creatività è uscita dai limiti che le erano stati imposti, ha oltrepassato i confini del set di ripresa e coinvolge ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque il professionista in tutti gli aspetti della sua vita. E chi non se ne è ancora reso conto, probabilmente non è cosciente di essere già stato messo alla porta dalla creatività.
Quali sono i valori “altri” che lei collega alla creatività?
Temo che la mia formazione umanistica si sia già manifestata più di quanto il contesto non renderebbe auspicabile, ma con questa domanda ho paura che esploderà senza controllo prendendo definitivamente il sopravvento nelle risposte. A mio personalissimo modo di vedere la creatività è una delle espressioni più pure dell’identità dell’uomo. Nella creatività c’è l’essenza del continuo rinnovamento che ha portato questa… razza maledetta a sollevarsi dalla postura a quattro zampe per raggiungere la stazione eretta. C’è l’evoluzione che condotto dall’uso degli strumenti in pietra a quello del computer. C’è l’anima stessa dell’uomo, quella descritta da Dante Alighieri con parole immortali: «Considerate la vostra semenza/fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza». Penso insomma che senza la creatività e tutto quello che essa comporta e produce si perda una dimensione fondamentale della natura umana. Proprio quella che fin troppi input interessati al giorno d’oggi ci invitano a cancellare. A prescindere ritengo che ben stigmatizzata e portata come riferimento, la creatività possa essere latrice di valori paideutici all’interno di uno sviluppo sociale organico, che poi inevitabilmente si tradurrà, nel medio-lungo periodo, in un fattore di fondamentale importanza in tutti i settori, compreso quello dell’accrescimento economico.
L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a “cosa” secondo lei?

Fa bene un po’ a tutto come ho appena detto. La promozione di attività che utilizzano la forza creativa produce pensiero diffuso e il pensiero diffuso conduce direttamente all’evoluzione. Oltre a generare idee può muovere economie, sia in modo diretto sia indiretto attraverso il contributo alla veicolazione delle informazioni. La vera sfida ritengo peraltro, per quanto riguarda la fotografia, che appartenga proprio alla sfera della produzione diretta di reddito. L’idea generata dalla creatività può aprire nuovi settori economici, creare tendenze. Bisogna però fare sempre attenzione a non confondere la creatività con la stravaganza che può esprimersi in termini assai poco produttivi e stimolanti. Se la creatività è espressa con sincera onestà, quella che deriva dalla ricerca continua, gli effetti non possono essere che positivi. Se invece si finisce per nascondere  dietro allo schermo della pseudo-creatività un opportunismo modaiolo di facciata, non stiamo più parlando di creatività, ma nella migliore delle ipotesi di stravaganza interessata, prodotta ed esibita unicamente per stupire e fare cassa a breve termine. Questo è il rischio che individuo, ma ovviamente si tratta di un pericolo generico e non di una tipicità connessa alla creatività, che in quanto tale rimane sempre e comunque un fattore positivo e trainante. Il resto erano e rimangono solo considerazioni sui limiti congeniti alla specie umana riunita in consorzio sociale.
Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”?
E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

Esiste eccome ed è anche molto vitale. Lo dimostra la continua nascita di nuove iniziative sul territorio nonostante il periodo di grande instabilità e di trasformazione che stiamo vivendo. Tra le caratteristiche peculiari direi che c’è una certa artigianalità nel senso migliore del termine. Quello che io noto, soprattutto nei più giovani è infatti una grande capacità di supplire, quando necessario, alla carenza di fondi. La creatività che si esprime nei prodotti passa anche per una creatività che adatta risorse non sempre all’altezza dei risultati finali. Questo è sintomatico della difficoltà che molti incontrano nell’esercizio della creatività stessa, ma per certi versi finisce per trasformarsi in un combustibile eccezionale. E, attenzione, quando parlo di questo tipo di artigianalità, non alludo a mancanza di professionalità, quanto piuttosto alla capacità di risolvere comunque un problema, trovare una soluzione indipendentemente dalle risorse a disposizione, mettendo a frutto le proprie capacità spinte al limite. Un’altra caratteristica dei creativi romani è quella di essere stati capaci di dar vita in determinati settori a vere e proprie correnti, come è avvenuto ad esempio nel fotogiornalismo che ha visto muoversi da Roma molti dei più affermati professionisti attualmente operanti in campo mondiale. E tutto questo, sia pure tra inevitabili dissidi, è anche frutto di incontri e scambi che forse sono riconoscibili come una tipicità che il territorio in qualche modo favorisce per cultura e tradizione. Il che non deve far pensare a un giardino dell’Eden dove basta allungare la mano per raccogliere frutti maturi. Come tutti i terreni del mondo reale anche quello della creatività a Roma e Provincia deve essere curato, ma non è un campo da ripulire dalle pietre prima di poterlo arare. Basta concimarlo e irrigarlo un po’ e offre frutti in abbondanza. E questa caratteristica, sollevata dal peso della metafora, è forse il profilo più peculiare ascrivibile alla classe creativa romana.
Quali sono secondo lei gli indicatori più interessanti dello stato di “salute” della creatività romana?

Oltre alla già citata fioritura di iniziative che promuovono la creatività ed operano al suo interno, direi tra gli indicatori più interessanti ci sono le affermazioni conseguite a livello nazionale e internazionale dai creativi romani. Per quanto riguarda la fotografia nello specifico, un fattore trainante per la buona saluta della creatività romana si può individuare nel successo che riscuotono le iniziative culturali e di formazione, che si pongono come vero e proprio termometro dello stato di salute del settore. Le singole iniziative che vedono protagonista la fotografia registrano un aumento costante di partecipazione pubblica, il che dimostra che il dare spazio alle manifestazioni in cui si esprime la creatività, è la risposta a un bisogno collettivo e non solo una necessità sentita dagli attori della creatività. Analogo il discorso che si può fare per quanto riguarda le strutture di preparazione tecnico professionale che continuano ad attirare moltissimi studenti e non solo dalla Capitale e provincia, ma da tutta Italia e spesso anche dall’estero. Questo conferma l’esistenza di una vera e propria fame di luoghi in cui esercitare la creatività, sia in forma passiva sia in una dimensione attiva. Sì, decisamente vedo nel successo di pubblico, quello che non necessariamente rientra, nella categoria dei professionisti di settore, uno degli indicatori più positivi sullo stato di salute delle creatività romana.
A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?

Accennavo poco fa alla presenza di una interessante proliferazione di iniziative nel territorio di Roma e Provincia come a un fattore positivo, a un indicatore dello stato di salute generale della creatività romana. Il problema è che spesso queste iniziative che potrebbero facilmente trovare supporto tra di loro, rischiano di produrre, rispetto alle loro potenzialità, solo una polverizzazione di risorse. Il che significa che di fronte a un potenziale enorme si rischia materializzare il proverbiale topolino partorito dalla montagna. Da qui deriva l’importanza degli investimenti fatti e in corso a favore della creatività da parte delle istituzioni. Queste ultime a Roma e Provincia hanno iniziato a farsi carico di un ruolo di connessione con iniziative importanti come quella che ha visto nascere il sito sulle cui pagine state leggendo questa intervista o il volume che completa il progetto. Ritengo assolutamente fondamentale il ruolo di coesione e sostegno delle iniziative dei privati da parte delle istituzioni che sole possono avere la forza di mettere in contatto iniziative e risorse complementari con la finalità di una crescita collettiva dai risvolti positivi su tutti i livelli. Solo attraverso il sostegno (che non deve intendersi necessariamente come di tipo economico) e il riconoscimento pubblico degli sforzi dei privati si possono superare gli individualismi e contribuire a cambiare l’atmosfera che circonda il mondo della creatività. Ecco un obiettivo primario da raggiungere credo sia quello di rendere comprensibile alla maggioranza del pubblico la fondamentale importanza della creatività.
Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?

Occupandomi principalmente di fotografia avverto una difficoltà ontologica nell’individuare casi italiani cui fare riferimento. Trovo estremamente positivo l’impegno dimostrato concretamente da iniziative come RomaProvinciaCreativa, un ottimo e consolidato inizio che arriva dalle istituzioni e non si limita al consueto esercizio di retorica politica, ma si attua concretamente. Iniziative del genere vanno sostenute da tutti gli addetti ai lavori con impegno e lungimiranza. Si tratta di qualcosa che può contribuire a produrre se non un vero e proprio cambiamento, almeno una forte scossa per iniziare a incamminarsi in questa direzione. Prima ancora di ottenere dei risultati concreti è infatti necessario trasformare l’atmosfera che circonda la creatività. Il ritardo che a livello internazionale ci vede lontani da posizioni di vertice, non è certo dovuto alla mancanza di risorse e potenzialità, quanto piuttosto alla mancanza una cultura diffusa e condivisa della creatività. È su questo che innanzitutto abbiamo il dovere di lavorare, producendo connessioni e relazioni che valorizzino la percezione media della creatività nel nostro paese e facilitino l’integrazione di risorse. Questo è forse il vero esempio che dobbiamo trarre da altri paesi come la Francia o la Germania, tanto per rimanere in Europa, dove esiste una vera cultura della creatività, stimolata a partire dagli esordi scolastici e alimentata nella quotidianità da mezzi d’informazione e istituzioni. Mi rendo conto che questo significa un enorme sforzo e una lotta impari nei confronti dell’attitudine individualista intrinseca al DNA degli Italiani. Ma se penso a quali potrebbero essere i risultati che sono alla nostra portata, sono convinto che non si possa non accettare la sfida.
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?

Credo che piuttosto che pensare a un’esperienza da imitare, tutti noi dovremmo impegnarci con serietà a produrre un’esperienza esemplare per gli altri. Anche questo modo di pensare fa parte del cambiamento di atmosfera intorno alla creatività cui accennavo poc’anzi. Roma può e soprattutto deve poter assumere un ruolo di guida non solo nei confronti dell’Italia, ma anche della comunità internazionale. Le risorse ci sono e le istituzioni con iniziative come RomaProvinciaCreativa stanno dimostrando concretamente di aver compreso il ruolo che possono esercitare nella crescita di molti settori, a iniziare dall’economia, sostenendo e promuovendo lo sviluppo della creatività.

Sandro Iovine, giornalista, critico fotografico e curatore di mostre, nasce a Roma nel 1961 dove studia Scienze Politiche con Indirizzo Internazionale e consegue il diploma in Lingua e Cultura Giapponese presso l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1988 inizia a lavorare come redattore nelle riviste per la rivista di fotografia Reflex e Foto Pro. Nel 1992 crea e dirige a Roma il Centro Fotogiornalismo, organizzando mostre in Italia e in Giappone con, tra gli altri, Francesco Zizola, Riccardo Venturi, Angelo Raffaele Turetta, Paolo Pellegrin, Dario Coletti. Tra il 1998 e il 2001 cura e coordina la realizzazione e la diffusione della mostra 25 anni all’infermo: la storia dei Medici Senza Frontiere. Nel frattempo collabora come docente con il Mifav dell’Università di Tor Vergata per la realizzazione di corsi e master e codirige la testata F&D (Fotografia & Dintorni). A partire dal 1999 assume la direzione del mensile Il fotografo iniziando un’esperienza tuttora in corso. Nella sua carriera ha curato tra le altre le mostre e i volumi Ammentos (Dario Coletti, 1997), 180 Basaglia (Dario Coletti, 1998), Bambini (Paolo Pellegrin, 1998), 25 anni all’inferno, la storia dei Medici Senza Frontiere (Autori Vari, 1999), Sette Minuti (Riccardo Venturi, 2001), A. D. 1176 (Umberto Armiraglio e Cristiano Fabris, 2005), Il permesso di crescere (Claudio Argentiero e Bruno Taddei, 2005), Some Jazz in B. A. (Umberto Armiraglio, Claudio Argentiero e Cristiano Fabris, 2006), Calabria in festa (Marco Marcotulli, 2006), San Rossore (Nicola Ughi, 2007), Il velo della Sposa (Mario Vidor, 2008), Estremi: tra edonismo e nostalgia negli anni 2000 (Gabriele Micalizzi, Alessandro Sala, Guglielmo Trupia, 2008), Menotrentuno – Delirio di normalità (Emanuele Cremaschi, 2008), Les yeux de la Guerre (Ugo Lucio Borga, 2010), D-Day (Marco Perini, 2011). È stato curatore di Menotrentuno, rassegna europea dedicata ai giovani fotografi e della sezione fotografia del progetto RomaProvinciaCreativa per l’anno 2011. Ha collaborato con varie testate giornalistiche e radio-televisive tra cui Paese Sera, Il Manifesto, Avvenimenti, Il Giornale di Napoli, Tele Montecarlo, Radio Tre, Radio Svizzera Italiana e collabora con Radio Uno, Radio 24. Nel 2007 crea il blog Fotografia: Parliamone! (www.sandroiovine.blogspot.com).

GIANLUCA MARZIANI

La città, il territorio e la creatività: a colloquio con Gianluca Marziani che concepisce la “creatività” una vera e propria energia da tutelare come se fosse una montagna dolomitica di cristallo rilucente.

Vuole tentare una definizione di creatività?
Una visione che diventa intuizione che diventa progetto che diventa struttura che diventa codice. Un lampo rosso dentro il nero, un segnale col potere del segno, un’angolazione anomala dietro la forma sagomata del quotidiano. La creatività è la nostra Pandora avatariana, un’energia da tutelare come se fosse una montagna dolomitica ma di cristallo rilucente.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nell’arte?

La capacità di intuire il cuore nascosto degli elementi quotidiani, la bravura nel metabolizzare quelle particelle nascoste e metterle dentro un motore di messaggi teorici, valori morali e strutture economiche. Il sistema artistico è oggi uno dei più organizzati nella sua filiera, capace di veicolare contenuti e gigantesche catene di interessi. Al contempo, è un meccanismo che lascia estrema libertà ideativa ed esecutiva, soprattutto nei livelli “under” e “over”, quelli in cui le vere idee prendono forma dal basso, dal punto in cui il pensiero si esercita senza vincoli preclusivi col mercato. I più bravi riescono a seguire la maturazione di quel pensiero e a farlo entrare in un sistema funzionale, bilanciando gli equilibri ma senza snaturare il nucleo originario dell’idea.
Quali sono i valori “altri” che lei collega alla creatività?
L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a “cosa”?

La creatività riuscita è già un valore “altro”, lo stesso atto creativo nasce da un lampo che si accende dove non si era ancora andati. A cosa fa bene la creatività? Al cervello, ai cinque sensi, allo stomaco, al fegato, all’intestino, agli organi genitali, alle articolazioni, ai muscoli addormentati, agli addominali, agli orifizi… Fuori dal corpo fa molto bene allo spirito, ma questo è argomento da digressione filosofica che lasciamo ai contesti adeguati. Oltre le persone fa bene a così tante cose che preferisco non elencarle. La domanda è un’altra: a cosa fa male la creatività?

Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”? E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

Roma è una cosmogonia anomala e inclassificabile, un territorio randomico ma fortemente germinativo. Resta una delle aree nodali nel sistema culturale italiano, tra le pochissime geografie italiane dove la molteplicità linguistica si unisce ad una speciale libertà ideativa. Merito di tanta libertà deriva dal poco legame con gli apparati industriali, cosa che invece troviamo in un’area come quella lombarda, più organizzata nelle modalità creative ma meno libera nei meccanismi di slancio iniziale. Di contro, la mancanza di una filiera completa danneggia la creatività romana quando salgono le ambizioni di confronto internazionale. È come se la potenza creativa dei primi stadi diminuisse la sua azione nel momento decisivo, quando si deve passare la dogana del grande confronto in prima linea. Un merito che riconosco ad alcuni romani delle ultime generazioni è quello di viaggiare e creare legami con referenti esteri. Rispetto agli artisti delle vecchie generazioni, mi sembra che alcuni stiano facendo di necessità una grande virtù. Manca la vera forza istituzionale attorno alla creatività? I più attivi rispondono muovendosi molto, scegliendo un nomadismo parcellizzato e virale. Le soluzioni esistono, basta guardarle con le visuali di questi anni e non con le meccaniche dei decenni trascorsi.
Quali sono secondo lei gli indicatori più interessanti dello stato di “salute” della creatività romana?

Sono diversi gli indicatori di un benessere organico del sistema culturale. Contano le molteplici aperture di spazi creativi, la presenza di magazine culturali, gli eventi dentro luoghi anomali che ribaltano le originali funzioni d’uso. Conta molto anche la combinazione linguistica, quella capacità di raccordare linguaggi distanti con eventi e situazioni di riuscito dialogo. Conta la crescita di zone e distretti in cui si raccolgono persone e progetti. Conta la vitalità delle programmazioni, dei festival, delle rassegne, delle società che operano dal basso, delle scuole che producono idee. È il dinamismo continuo che fa la differenza e crea valore. La qualità creativa nasce da un bacino quantitativo: e una città deve alimentare quel bacino, usando ordine e rigore ma non dimenticando che il pluralismo determina la sintesi successiva.
A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?

Serve una gestione intelligente degli investimenti, calibrata su due macromodelli: il legame bipolare tra “mittente” e “destinatario”, dove entrambi i soggetti (chi crea da una parte, chi supporta dall’altra) assumono la doppia funzione “mittente/destinatario”, in modo da creare un flusso virtuoso che avvantaggi entrambe le parti; l’altro macromodello riguarda la fuoriuscita a raggiera del legame in questione, ovvero, la capacità di creare interessi e flussi anche al di fuori del dualismo “mittente/destinatario”.

Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?
Finlandia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Polonia… diciamo che buona parte del bacino nordeuropeo offre esempi significativi per capire il supporto concreto alla classe creativa. Vi basterà studiare le politiche culturali di alcuni Paesi e avrete maggiori strumenti di giudizio. In particolare mi sembra che da noi manchi la “cultura europea”, un sentire diffuso che porti le idee verso Strasburgo, verso i finanziamenti che esistono e vengono realmente erogati a chi presenta idee giuste nel modo giusto. Spesso vince la pigrizia, anche perché non è semplicissimo richiedere un finanziamento comunitario. Ma posso assicurarvi che gli euro ci sono e le modalità di selezione premiano i progetti intelligenti.
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?

Il passato riporta giustamente al caso di Adriano Olivetti, un archetipo per chiunque voglia indagare l’uso funzionale delle risorse in ambito creativo. Il presente ha molti esempi, quasi tutti provenienti dal Nord Europa, dal Giappone e dalla California. Non entrerei nello specifico ma posso affermare che saranno le aziende private a salvare la creatività di domani. È ormai chiaro lo stallo del nostro sistema politico, non troppo dissimile da quello di altri Paesi che stanno delegando ai privati l’intervento in ambito culturale. Certo, ci vorrebbe maggior responsabilità istituzionale, però bisogna anche capire il radicalismo del cambiamento in atto e orientarsi verso nuovi modelli di mecenatismo attivo. La partita è appena cominciata.

Gianluca Marziani, nato a Milano nel 1970, vive a Roma e lavora in Italia e all’estero. È critico e curatore di arti visive, da anni una firma ufficiale dell’arte contemporanea in Italia. È il curatore del Premio Terna, fin dalla prima edizione, oltre ad essere nel comitato scientifico di numerose iniziative istituzionali, come lo Young Blood, il primo annuario dei giovani talenti italiani premiati nel mondo. Ha curato molteplici mostre in gallerie e musei, pubblicato libri (“N.Q.C.”, “Melting Pop”) e un notevole numero di cataloghi. Numerose sono le monografie pubblicate con case editrici di riconosciuto valore (Skira, Electa, Damiani, Drago, Castelvecchi…). In questi anni ha firmato importanti libri di critica, saggi e monografie su artisti. Durante gli anni ha portato l’arte contemporanea in televisione (Tele+, Stream, Raidue), radio (Radiodue), quotidiani (La Stampa), riviste di settore (FEFÈ, Flash Art, Tema Celeste…), magazine ad alta tiratura (Specchio, Panorama, Time Out, Numéro, GQ, Style, Style Piccoli), magazine di culture contemporanee (Duel, Time Out, Hot, Blue …), web. È tra i fondatori di “Next Exit, creatività e lavoro”, ed è consulente per varie testate. Insegna arte contemporanea allo IED di Roma e collabora con centri di produzione e gallerie private e con musei di arte contemporanea in Italia e all’estero. Da anni è consulente culturale per aziende e multinazionali. A Roma ha collaborato col Comune per progetti legati all’attività artistica giovanile, e per l’Auditorium Parco della Musica, con l’organizzazione di “Scala Mercalli, il terremoto creativo della Street Art Italiana”. È stato da poco nominato nuovo direttore di Palazzo Collicola, che ora ha preso il nome di Palazzo Collicola Arti Visive – Museo Carandente, importante sede di arte contemporanea a Spoleto.

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