GIANLUCA MARZIANI

La città, il territorio e la creatività: a colloquio con Gianluca Marziani che concepisce la “creatività” una vera e propria energia da tutelare come se fosse una montagna dolomitica di cristallo rilucente.

Vuole tentare una definizione di creatività?
Una visione che diventa intuizione che diventa progetto che diventa struttura che diventa codice. Un lampo rosso dentro il nero, un segnale col potere del segno, un’angolazione anomala dietro la forma sagomata del quotidiano. La creatività è la nostra Pandora avatariana, un’energia da tutelare come se fosse una montagna dolomitica ma di cristallo rilucente.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nell’arte?

La capacità di intuire il cuore nascosto degli elementi quotidiani, la bravura nel metabolizzare quelle particelle nascoste e metterle dentro un motore di messaggi teorici, valori morali e strutture economiche. Il sistema artistico è oggi uno dei più organizzati nella sua filiera, capace di veicolare contenuti e gigantesche catene di interessi. Al contempo, è un meccanismo che lascia estrema libertà ideativa ed esecutiva, soprattutto nei livelli “under” e “over”, quelli in cui le vere idee prendono forma dal basso, dal punto in cui il pensiero si esercita senza vincoli preclusivi col mercato. I più bravi riescono a seguire la maturazione di quel pensiero e a farlo entrare in un sistema funzionale, bilanciando gli equilibri ma senza snaturare il nucleo originario dell’idea.
Quali sono i valori “altri” che lei collega alla creatività?
L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a “cosa”?

La creatività riuscita è già un valore “altro”, lo stesso atto creativo nasce da un lampo che si accende dove non si era ancora andati. A cosa fa bene la creatività? Al cervello, ai cinque sensi, allo stomaco, al fegato, all’intestino, agli organi genitali, alle articolazioni, ai muscoli addormentati, agli addominali, agli orifizi… Fuori dal corpo fa molto bene allo spirito, ma questo è argomento da digressione filosofica che lasciamo ai contesti adeguati. Oltre le persone fa bene a così tante cose che preferisco non elencarle. La domanda è un’altra: a cosa fa male la creatività?

Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”? E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

Roma è una cosmogonia anomala e inclassificabile, un territorio randomico ma fortemente germinativo. Resta una delle aree nodali nel sistema culturale italiano, tra le pochissime geografie italiane dove la molteplicità linguistica si unisce ad una speciale libertà ideativa. Merito di tanta libertà deriva dal poco legame con gli apparati industriali, cosa che invece troviamo in un’area come quella lombarda, più organizzata nelle modalità creative ma meno libera nei meccanismi di slancio iniziale. Di contro, la mancanza di una filiera completa danneggia la creatività romana quando salgono le ambizioni di confronto internazionale. È come se la potenza creativa dei primi stadi diminuisse la sua azione nel momento decisivo, quando si deve passare la dogana del grande confronto in prima linea. Un merito che riconosco ad alcuni romani delle ultime generazioni è quello di viaggiare e creare legami con referenti esteri. Rispetto agli artisti delle vecchie generazioni, mi sembra che alcuni stiano facendo di necessità una grande virtù. Manca la vera forza istituzionale attorno alla creatività? I più attivi rispondono muovendosi molto, scegliendo un nomadismo parcellizzato e virale. Le soluzioni esistono, basta guardarle con le visuali di questi anni e non con le meccaniche dei decenni trascorsi.
Quali sono secondo lei gli indicatori più interessanti dello stato di “salute” della creatività romana?

Sono diversi gli indicatori di un benessere organico del sistema culturale. Contano le molteplici aperture di spazi creativi, la presenza di magazine culturali, gli eventi dentro luoghi anomali che ribaltano le originali funzioni d’uso. Conta molto anche la combinazione linguistica, quella capacità di raccordare linguaggi distanti con eventi e situazioni di riuscito dialogo. Conta la crescita di zone e distretti in cui si raccolgono persone e progetti. Conta la vitalità delle programmazioni, dei festival, delle rassegne, delle società che operano dal basso, delle scuole che producono idee. È il dinamismo continuo che fa la differenza e crea valore. La qualità creativa nasce da un bacino quantitativo: e una città deve alimentare quel bacino, usando ordine e rigore ma non dimenticando che il pluralismo determina la sintesi successiva.
A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?

Serve una gestione intelligente degli investimenti, calibrata su due macromodelli: il legame bipolare tra “mittente” e “destinatario”, dove entrambi i soggetti (chi crea da una parte, chi supporta dall’altra) assumono la doppia funzione “mittente/destinatario”, in modo da creare un flusso virtuoso che avvantaggi entrambe le parti; l’altro macromodello riguarda la fuoriuscita a raggiera del legame in questione, ovvero, la capacità di creare interessi e flussi anche al di fuori del dualismo “mittente/destinatario”.

Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?
Finlandia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Polonia… diciamo che buona parte del bacino nordeuropeo offre esempi significativi per capire il supporto concreto alla classe creativa. Vi basterà studiare le politiche culturali di alcuni Paesi e avrete maggiori strumenti di giudizio. In particolare mi sembra che da noi manchi la “cultura europea”, un sentire diffuso che porti le idee verso Strasburgo, verso i finanziamenti che esistono e vengono realmente erogati a chi presenta idee giuste nel modo giusto. Spesso vince la pigrizia, anche perché non è semplicissimo richiedere un finanziamento comunitario. Ma posso assicurarvi che gli euro ci sono e le modalità di selezione premiano i progetti intelligenti.
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?

Il passato riporta giustamente al caso di Adriano Olivetti, un archetipo per chiunque voglia indagare l’uso funzionale delle risorse in ambito creativo. Il presente ha molti esempi, quasi tutti provenienti dal Nord Europa, dal Giappone e dalla California. Non entrerei nello specifico ma posso affermare che saranno le aziende private a salvare la creatività di domani. È ormai chiaro lo stallo del nostro sistema politico, non troppo dissimile da quello di altri Paesi che stanno delegando ai privati l’intervento in ambito culturale. Certo, ci vorrebbe maggior responsabilità istituzionale, però bisogna anche capire il radicalismo del cambiamento in atto e orientarsi verso nuovi modelli di mecenatismo attivo. La partita è appena cominciata.

Gianluca Marziani, nato a Milano nel 1970, vive a Roma e lavora in Italia e all’estero. È critico e curatore di arti visive, da anni una firma ufficiale dell’arte contemporanea in Italia. È il curatore del Premio Terna, fin dalla prima edizione, oltre ad essere nel comitato scientifico di numerose iniziative istituzionali, come lo Young Blood, il primo annuario dei giovani talenti italiani premiati nel mondo. Ha curato molteplici mostre in gallerie e musei, pubblicato libri (“N.Q.C.”, “Melting Pop”) e un notevole numero di cataloghi. Numerose sono le monografie pubblicate con case editrici di riconosciuto valore (Skira, Electa, Damiani, Drago, Castelvecchi…). In questi anni ha firmato importanti libri di critica, saggi e monografie su artisti. Durante gli anni ha portato l’arte contemporanea in televisione (Tele+, Stream, Raidue), radio (Radiodue), quotidiani (La Stampa), riviste di settore (FEFÈ, Flash Art, Tema Celeste…), magazine ad alta tiratura (Specchio, Panorama, Time Out, Numéro, GQ, Style, Style Piccoli), magazine di culture contemporanee (Duel, Time Out, Hot, Blue …), web. È tra i fondatori di “Next Exit, creatività e lavoro”, ed è consulente per varie testate. Insegna arte contemporanea allo IED di Roma e collabora con centri di produzione e gallerie private e con musei di arte contemporanea in Italia e all’estero. Da anni è consulente culturale per aziende e multinazionali. A Roma ha collaborato col Comune per progetti legati all’attività artistica giovanile, e per l’Auditorium Parco della Musica, con l’organizzazione di “Scala Mercalli, il terremoto creativo della Street Art Italiana”. È stato da poco nominato nuovo direttore di Palazzo Collicola, che ora ha preso il nome di Palazzo Collicola Arti Visive – Museo Carandente, importante sede di arte contemporanea a Spoleto.

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