DONATO PICCOLO

Artista che ama gli elementi naturali e si muove sul confine tra ricerca artistica ed elaborazione concettuale

Quasi nessuno lo sa ma Morse, l’inventore del famoso codice era un pittore oltre che un ingegnere. La tensione verso la scoperta tra tecnologia, linguaggio ed espressione estetica, è così luminosamente sintetizzata da Donato Piccolo, artista romano classe 1976. Donato è un autore che si muove al confine tra ricerca scientifica ed elaborazione concettuale. “Mi piace lavorare con gli elementi”, racconta. “Aria, acqua, fuoco, ma anche gli elementi chimici”. Il suo stile di ricerca – che lo ha portato alla Biennale di Venezia già nel 2007 – si inserisce in un filone non molto seguito in Italia, ma dagli sviluppi interessanti negli Stati Uniti e nel resto d’Europa. È lui stesso a raccontare di avere la necessità di confrontarsi più all’estero che nel nostro paese. “Non mi sembra che ci sia una corrente, piuttosto direi artisti diversi che si interrogano su come con un lavoro ‘artistico’ si possa entrare nelle logiche della natura. La ricerca artistica di Donato Piccolo, presente alla fiera romana di “Road to Contemporary Art” con la galleria di Mario Mazzoli, di Berlino, parte dall’esigenza di modellare quell’aspetto del mondo naturale che non è modellabile. “Per esempio lavoro con il vapore che tutti associamo a qualcosa di vago, di impalpabile, alla nebbia, all’acqua che scompare”. Per capire dobbiamo stare davanti a un’opera. Innanzitutto parliamo di installazioni, macchine che generano piccoli fenomeni naturali ‘impossibili’. Dentro la teca il vapore diventa un fiume orizzontale sospeso nel nulla, un serpente che si dimena da un capo all’altro del suo corridoio di vetro, una fune arrotolata che acquista e perde consistenza ma che viene ‘tesa’ da due forze invisibili. Ed è impossibile scoprire ad occhio nudo a quale ‘forza’ naturale obbedisca il serpente di fumo. Come nasce questo interesse per il mondo scientifico? “Un po’ l’ho sempre avuto. Ma c’è anche un episodio preciso della mia storia, un incidente che mi ha costretto a confrontarmi con la potenza dell’indagine scientifica. Scomporre, capire e al tempo stesso cercare di modificare le cose con tanta sofisticata tecnologia mi ha aperto gli occhi”. Una passione che non è stata più abbandonata. “Non tutte le macchine costruite dall’uomo devono per forza essere utili”, dice mentre accudisce la sua installazione. Particolarmente giusto nel caso di Donato Piccolo: possono essere costruite solo per la sorpresa estetica, per una comprensione più profonda del mondo naturale o per comunicare la propria umana intenzionalità. Come nel Morse.

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