T SPOON

Menzione speciale al Premio Vocazione Roma per la sezione “Territorio”

T SPOON opera a Roma dal 2004, attraverso progetti, installazioni ed iniziative editoriali. Oggi ne fanno parte Nina Artioli (Milano, 1979), Alessandra Glorialanza (Roma, 1979) ed Eliana Saracino (Taranto, 1980), laureate in Architettura presso l’Università degli Studi di Roma Tre nel 2006.

T SPOON è stato premiato in diversi concorsi nazionali ed internazionali, come Greater Helsinki Vision 2050 (menzione speciale) e MenoèPiù 5 (progetto vincitore) e i loro lavori sono stati esposti in varie mostre come la IV IABR – International Architecture Biennale Rotterdam 2009 nell’ambito di Squat City, Attraversamenti 09 – Biennale diffusa di Architettura Contemporanea e nel Padiglione Italiano all’Expo 2010 di Shanghai. Nel 2011 T SPOON vince il premio NIB Top 10 Paesaggio per paesaggisti under 36.

T SPOON è l’idea di un piccolo strumento che, attraverso una ricerca che va “dal cucchiaino alla città”, esplora i territori urbani indagando i modi e le forme dell’abitare contemporaneo.

T SPOON agisce in un campo di indagine posizionato all’intersezione di tre elementi fondamentali:

La città, intesa non solo come rapporto di spazi, misura e funzione, ma soprattutto come sistema di relazioni, flussi, potenzialità: un organismo vivo, dinamico, imprevedibile, denso di processi spontanei.

Il paesaggio, che abbandona il suo ruolo tradizionale di decorazione, abbellimento o di suolo produttivo o ancora di bellezza naturale, per diventare la lente attraverso la quale leggere, rappresentare e strutturare la città contemporanea.

L’infrastruttura come espressione immediata del paesaggio urbano, rete vitale dell’organismo città, non più trama nascosta di elementi tecnico-funzionali, ma nuova forma ibrida di spazio pubblico natural-tecnologico.

L’obiettivo della nostra sperimentazione è la creazione di microenvironments, ecosistemi derivanti da un processo progettuale basato sull’interazione tra strategie urbane alla grande scala e la natura minuta e molteplice delle condizioni della vita quotidiana contemporanea. Il progetto è inteso come una griglia aperta di possibilità in grado di stimolare e favorire mutazioni, trasformazioni e riappropriazioni in un processo dialettico continuo tra lo spazio e gli abitanti.

Il tema dei microenvironments viene sviluppato attraverso progetti di ricerca (come Infracittà, studio sul rapporto tra l’infrastruttura ferroviaria e la città o Na.N.O. – Nature Needs Occasions, sul riutilizzo e l’attivazione di una rete di spazi residuali nel tessuto urbano), progetti di strategie di rilancio territoriale (Da Punto a Punta, progetto di rinnovamento di un’area compresa tra Ravenna e il suo litorale), progetti per nuovi quartieri residenziali (Open Block a Milano) e attraverso la realizzazione di giardini ed installazioni temporanee (Fronte/Retro).

In occasione del Premio Vocazione Roma, concorso per proposte di intervento finalizzate alla soluzione di problematiche presenti sul territorio della Provincia di Roma, T SPOON ha ricevuto la menzione speciale per il progetto Spacebook, un’applicazione web intesa come uno strumento per la costruzione di un network fra persone, spazi, metodi e strumenti per la trasformazione degli spazi sottoutilizzati.

Approfondiamo il progetto con loro.

Che cos’è Spacebook?
Spacebook è un social network, una piattaforma aperta e flessibile finalizzata alla costruzione di una rete fra persone, spazi, metodi e strumenti per la trasformazione dei territori urbani sottoutilizzati. È uno strumento in grado di creare sinergie ed offrire nuove occasioni di trasformazione.

Come nasce l’idea di questo progetto?
L’idea di Spacebook deriva direttamente dalle nostre esperienze professionali. Infatti, quotidianamente verifichiamo che, se pur ci sono le potenzialità in termini di spazi e la volontà in termini di energie per mettere in atto delle azioni di trasformazione dello spazio, la cosa più facile che accada è che non si sappia come cominciare, quali sono gli spazi utilizzabili, quali sono i supporti che la pubblica amministrazione mette a disposizione, quali sono le procedure da compiere. Molto spesso è anche difficile avere ben chiaro l’obiettivo che si vuole ottenere e magari questo obiettivo non si è i soli a volerlo. E Spacebook serve proprio a questo, a far entrare in contatto gli elementi della trasformazione spaziale, le energie, le disponibilità, le risorse.

Secondo una vostra definizione Spacebook è uno “spatial network” che cosa intendete?
Il riferimento è rivolto alla potenzialità offerta da internet, dai social network, dalle nuove tecnologie. Ad oggi, da un lato ci sono le reti urbane, che interagiscono e interferiscono l’una con l’altra in modi che non sono completamente prevedibili e che producono forme inattese di organizzazione sociale, dall’altro le reti virtuali, nel loro essere orizzontali, continue e pressoché infinite. L’interpolazione fra le reti urbane e le reti virtuali può, secondo noi, avere un’enorme incidenza sulla trasformazione del territorio. La sfida consiste nel mettere in relazione, oltre che le persone tra loro, anche le persone con gli spazi, gli episodi e le occasioni che si presentano nei diversi contesti urbani.

Cosa intendete per atto positivo di appropriazione dello spazio?
Intendiamo il coinvolgimento attivo da parte degli utenti nelle pratiche di trasformazione dello spazio per ricostruire un senso di identità che molto spesso tende ad affievolirsi in modo preoccupante. La condivisione delle esperienze e delle iniziative, di momenti concreti di scambio, la consapevolezza di far parte di una rete di attori che condividono dei valori e degli intenti sono alcuni fra i passaggi necessari per costruire un nuovo senso di identità per una comunità più ecologica, più creativa e più sostenibile.

Quali obiettivi si pone questo progetto e perché dovrebbe essere realizzato?
Spacebook è un catalizzatore di energie e disponibilità. Difatti ci permette di conoscere le risorse umane e spaziali presenti sul territorio e di scoprire quali sono quelle nicchie nascoste, ma con ancora una grande potenzialità inespressa, da cui trarre beneficio. La visione immediata delle opportunità disponibili serve a stimolare la creatività e il desiderio di compiere una riappropriazione attiva dello spazio. Inoltre la costruzione di una rete di persone creative, di amministrazioni illuminate e di investitori privati potrà supportare l’avvio di sempre nuove azioni spaziali, attraverso lo scambio di esperienze e di informazioni tra gli utenti in merito a pratiche, finanziamenti e strumenti adatti a facilitare questi processi. In questo modo sarà più semplice riattivare gli spazi sottoutilizzati, all’interno di una logica che va contro il consumo del suolo e lo spreco delle risorse. Tutti questi obiettivi che Spacebook persegue confluiscono nell’idea che la possibilità di trasformazione del territorio possa derivare da un’azione più pubblica e più condivisa.

Quali sono i tempi e i costi di realizzazione?
La fase più complessa è senz’altro quella iniziale di sperimentazione, in cui si analizza la casistica di operazioni che si possono verificare, testando una beta-version con alcuni progetti pilota. Ad oggi è quindi difficile fare una stima temporale. L’obiettivo a lungo termine è quello di costruire un sistema che si auto-sostiene e si auto-regola.

Quali sono le fasi del processo di realizzazione di una vostra idea?
Per noi l’analisi è assolutamente lo strumento cardine dell’approccio progettuale. Solo attraverso la lettura del territorio, dei sistemi ambientali, morfologici e antropici è possibile, a nostro avviso, fornire una prima sintesi critico interpretativa del territorio, per poi poterne restituire una nuova immagine e nuovi significati. L’analisi è per noi assolutamente il primo atto progettuale. Un’analisi che ci serve a definire e comprendere qual è il reale campo di azione entro cui ci muoviamo. Un’analisi che ci serve a definire qual è l’unità di paesaggio, l’unità ambientale che individua un territorio. Un’analisi che ci serve a definire chi sono gli attori, che possono essere coinvolti a diverse scale nel processo di trasformazione spaziale. Un’analisi che sostanzialmente ci serve a capire qual è lo spazio entro cui un’azione progettuale ha senso che abbia luogo, qual è lo spazio entro cui si può parlare di riverbero di un atto progettuale. All’interno dell’unità riconosciuta, che noi chiamiamo microenvironment, ossia un ecosistema, una struttura con una sua identità interconnessa ad altri sistemi, la nostra sfida è quella di individuare la strategia migliore per raggiungere un equilibrio dinamico; ed è proprio per questo che crediamo che il processo di progettazione debba concentrarsi sull’interazione tra semplici regole strategiche alla grande scala e la possibilità di accogliere la molteplicità in continuo cambiamento della scala più piccola.

I vostri prossimi progetti?
Oltre ad alcuni concorsi, che sono sempre parte integrante della nostra attività di ricerca e sperimentazione, attualmente ci stiamo occupando dello sviluppo di un progetto strategico per il sistema del verde di Roma, con l’obiettivo di costruire un modello paesaggistico e ambientale finalizzato ad uno sviluppo sostenibile del territorio. E poi, ovviamente, stiamo sviluppando Spacebook!

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