Martina Scorcucchi

Martina Scorcucchi nasce a Roma il 9 Dicembre 1986. Dopo gli studi classici si avvicina alla moda, frequentando il corso di Fashion Design presso lo IED Moda Lab di Roma. Già durante l’ultimo anno di studi comincia, per pura passione, a fotografare i progetti realizzati da lei stessa e dai suoi compagni di corso. Partecipa a uno stage trimestrale come designer presso Max & Co, ma si rende definitivamente conto che la sua strada non è certo quella del design. Martina ama soprattutto fotografare, non certo progettare: decide di partire per New York, dove trascorre sei mesi, lavorando con le maggiori agenzie di modelle e collaborando con magazine indipendenti come “Dossier Journal”, “Vestal Magazine” e “Bambi”. Numerose sono anche le collaborazioni con designer romani e americani, tra i quali Shampalove, Livia Lazzari, Voodoo Jewels, Sante Bozzo e Laura Siegel. “Si diventa fotografi perchè si ama l’immagine, quello che un’immagine può trasmettere. Io invece sono diventata fotografa di moda perchè ho sempre amato gli abiti”. Questo amore traspare da ogni foto di Martina, che comincia a “osservare” l’evolversi della moda con uno sguardo attento ai particolari dell’abito o degli accessori, ma, allo stesso tempo, puntato ben oltre: al sentimento e all’emozione. “C’è un grande pregiudizio sulle fotografie di moda. Ma similmente agli altri fotografi, anche io cerco sempre di trasmettere qualcosa: un’emozione, un sentimento. Con i miei scatti cerco di raccontare delle storie, sempre in modo diverso. Ogni volta che punto la mia macchina fotografica, l’obiettivo è quello di far emozionare chi guarda il risultato finale“. Non solo scatti di moda, dunque: ma anche ritratti e reportage. Insomma, uno sguardo più profondo che non si ferma soltanto alla constatazione del reale. “Cerco di accompagnare lo spettatore in un racconto; immaginario, personale o evocativo. Ritengo questo il fine ultimo di una fotografia che la accomuna a una canzone, o a una poesia“. A Martina, del resto, piace raccontare. “Spero di continuare a fare questo lavoro per tutta la vita. Crescendo e oltrepassando i miei limiti. Ogni volta”.

Ph. particolari dei lavori della fotografa
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Stella Jean

Stella Jean, giovane stilista italo-haitiana, ha capito di voler lavorare nella moda sin dalla prima volta che è entrata in un laboratorio di sartoria. Inizia come modella ma poi, racconta, “ho corretto il tiro e trovato la mia dimensione nella possibilità di esprimermi come stilista“. Seconda classificata al concorso di moda Who is on Next? nel 2011, Stella partecipa nello stesso anno a Fashion-ABLE Haiti, un’iniziativa ideata dall’ambasciata di Haiti in collaborazione con il Comune di Roma. L’evento nasce per aiutare l’economia dello stato caraibico dopo il tragico terremoto che ha colpito Portau-Prince.
Le origini di Stella, quella creola da un lato e occidentale dall’altro, hanno influenzato le sue creazioni, uniche nel loro genere. “La moda mi ha concesso un ampio spazio” – spiega – “dove far finalmente respirare queste due culture e trasformare un tallone d’Achille in punto di forza e di partenza“. Il suo metodo di lavoro si ispira a quello di Madeleine Vionnet. La giovane stilista per creare i suoi abiti salta il passaggio del disegno, proprio come faceva la stilista dell’ottocento che aveva la necessità di drappeggiare e plasmare l’abito direttamente sul corpo. Ma la vera protagonista della moda di Stella è la “Wax & Stripes philosophy”. Il wax è un tessuto tipicamente africano che è stato “contaminato” dai colonizzatori europei, nella fattispecie dagli olandesi, nel periodo dell’espansione coloniale. Conquistatori che indossavano le camicie a righe: “stripes”. “Ecco perchè – come si legge nella presentazione della collezione – in ogni creazione di Stella sono presenti sia fantasie multicolor che fantasie millerighe, testimonial di due mondi lontanissimi tra loro. In questo modo l’esplosione di colori viene ‘mediata’ dalla camicia da uomo e dalla sua assoluta portabilità. Inoltre, i tagli si addicono a un look sia da giorno che da sera“.
L’abito diventa così espressione della multiculturalità, dell’incontro tra culture e mondi diversi uniti dal linguaggio universale della moda. “Questa collezione” – spiega Stella – “è una sincera dichiarazione d’intenti che vuole però ramificarsi in ulteriori matrimoni culturali. Per fare tutto ciò è necessario del tempo per conoscere e studiare le varie culture e tradizioni che voglio miscelare. Ciò che più temo è la facilità con cui si utilizzano le tradizioni e gli stili delle culture a sud dell’equatore. Con una lieve tendenza alla caricatura e alla parodia“.

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Caterina Gatta

Caterina Gatta si è laureata in Scienze della Moda e del Costume alla Sapienza di Roma. Mentre studiava ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo del lavoro, facendo l’assistente durante le “fashion week” milanesi. Nel 2008 Caterina inizia a sviluppare il suo progetto di moda registrando il marchio che porta il suo nome. Poi, la presentazione della sua prima collezione a New York, nel maggio 2009 e successivamente a Milano per il Vogue Talents Corner, progetto di scouting firmato Vogue Italia. Caterina realizza abiti con le stoffe vintage di famosi stilisti: Versace, Valentino e Lancetti, solo per dirne alcuni, e la direttrice della rivista Franca Sozzani, definita da Caterina “la sua musa”, ha voluto credere per prima nel progetto della giovane designer. Le creazioni di Caterina Gatta sono vintage sia nel tessuto sia nel design, ma non c’è nessun messaggio nostalgico nelle sue collezioni, solamente “la passione per una moda che attinge al passato per proiettarsi nel futuro” racconta la stilista. E continua: “c’è il bisogno di riscoprire attraverso i colori, le fantasie e le stampe, una vena creativa tipicamente italiana che sembra invece essersi esaurita proprio tra le nuove generazioni di designer“. Il 30 gennaio 2012 Caterina ha presentato capi e accessori per celebrare il cinquantesimo anniversario di Lancetti a Roma, per farlo ha girato personalmente l’Italia alla ricerca di tessuti vintage che portassero la firma del famoso stilista. “Dopo tanta ricerca, difficile ma appassionante – spiega la giovane romana – ho selezionato sette stampe che risalgono al periodo che va dalla metà degli anni ottanta ai primissimi anni novanta. Sono andata anche alla ricerca di testimonianze su Pino Lancetti, per avere un’idea più chiara del suo stile, della sua personalità, della sua vita e delle sue passioni“. Così come ha fatto per questo grande evento, Caterina cura personalmente tutti gli aspetti creativi, organizzativi e gestionali del proprio marchio. La ricerca dei tessuti in primis, successivamente la realizzazione degli abiti e la scelta delle modelle. Appassionata di fotografia, cura inoltre le immagini per le collezioni. “Secondo me – racconta – quello tra moda e fotografia è un connubio inscindibile. Sono come due innamorati che si completano“.

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Marco De Vincenzo

Marco De Vincenzo, fashion designer nato a Messina nel 1978, compiuti i diciott’anni si trasferisce a Roma dove si diploma in Moda e Costume all’Istituto Europeo di Design. Parallelamente al lavoro di assistente per Silvia Venturini Fendi sulla linea accessori, Marco, nel 2009, afferma la sua personale visione della moda classificandosi primo al prestigioso concorso Who is on Next?. Nello stesso anno lo stilista debutta con la sua linea d’abbigliamento a Parigi. Da questo momento in poi seguono diverse collezioni, come quella autunno-inverno 2012/2013 che Marco racconta così: “La collezione ha un sapore classico, dove le forme degli abiti seguono linee nette, dritte e definite. Si sottolinea il corpo, con effetti sfumati dell’aerografo ispirati al decoro delle facciate, per un tocco di plasticità e grafismo“. Da sempre affascinato dalla moda come espressione del tempo in cui si vive, Marco De Vincenzo cerca di interpretare il nostro, di tempo, ponendo il gesto creativo al centro del suo lavoro: “Sono sempre stato affascinato dalla creatività intesa come coraggio“, spiega. “Nel design come in altri ambiti progettuali, le scelte creativamente libere sono state fondamentali per abbattere muri e aprire nuove dialettiche. Spero di essere fedele a questo tipo di messaggio e mi piacerebbe restare libero nel tempo“. Per interpretare il tempo in cui viviamo, Marco cerca di guardare oltre e ascolta la propria voce creativa, essenziale per tutto ciò che riguarda il mondo della moda. “Il mio lavoro” – afferma – “nasce sempre dall’istinto. Un’attività del genere ti porta inevitabilmente a ricevere il parere di tutti e questo può essere costruttivo, ma può anche confonderti. L’importante non perdere mai di vista la natura istintiva, quasi ‘primordiale’ del proprio gesto creativo. Significa essere onesti con se stessi“. Questo rispetto nei propri confronti è forse la chiave, il punto di partenza per raggiungere ciò che questo stilista si prefigge. “Vorrei che i bisogni della gente tornassero ad avere un maggiore equilibrio rispetto a quello che la voracità del mass market ci ha imposto. In un contesto meno frenetico e più attento al valore delle idee, si colloca il mio ideale di realtà industriale e creativa“.

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Delfina Delettrez

Delfina Delettrez, quarta generazione della famiglia Fendi, nasce a Roma nel 1987 e trascorre l’infanzia tra la sua città natale e Rio de Janeiro. Studia in un liceo americano e dopo una formazione accademica improntata sulla Storia del Costume, si dedica all’arte orafa. Lancia con successo la sua prima collezione di gioielli in Francia per poi dare prova del suo talento creativo con altre numerose collezioni. Le sue creazioni, come lei stessa racconta, “nascono dalla necessità di esprimermi: sono una persona molto riservata e parlo poco. Il mio lavoro è il mezzo a me più congeniale per raccontare le emozioni. C’è chi scrive, chi dipinge, chi fa film e chi fa gioielli. Proprio da questo è nata la mia prima collezione presentata, nell’ottobre 2007, da Colette, a Parigi“. Delfina produce i suoi gioielli interamente in Italia e lavora non solo metalli preziosi, ma anche il marmo toscano delle cave di Massa Carrara, i legni esotici, il vetro e il cristallo, materiali che danno vita a collezioni sempre nuove e stravaganti. “Creo gioielli innovativi e fortemente identificativi capaci di creare meraviglia e di stimolare l’immaginazione di chi li osserva. Disegno quello che non c’è: la nuova idea di gioiello per la mia generazione“. Nel creare i preziosi, Delfina si ispira a un’idea di femminilità forte e semplice, una donna che sia capace di scherzare con sè stessa. Per dirla con le sue parole: “Il mio senso dell’umorismo mi porta a realizzare gioielli ironici, a metà strada tra ‘giochi per adulti’ e ‘mini sculture’. Ammiro le donne forti e i miei gioielli sono disegnati in particolar modo per loro. Infatti, non passano inosservati e mi piace pensare che possano diventare argomento di discussione in ambienti formali. Portare una lumaca in argento e pietre che si muove sulla spalla sicuramente crea stupore“. L’umorismo è sicuramente una componente fondamentale dello stile della giovane creativa, che ammette di prendere spunto anche dai suoi sogni e dalle sue paure. per questo nelle sue opere si respira a volte l’umore dei film di Tim Burton come “Nightmare before Christmas” o “La sposa cadavere”. Elementi, quest’ultimi, che danno un sapore magico ai suoi gioielli. “Mi piace – dice – sottolineare la forza degli amuleti, pensare che, grazie all’energia delle pietre e alla forza dei metalli, un gioiello possa avere un effetto energetico e propiziatorio. In fondo è quello in cui credevano gli alchimisti o gli egiziani, in tempi antichi“. Perchè non dovremmo crederlo anche noi?

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