Meritocrazia negata?
Lavoro cos atipico da non arrivare a un tipico reddito?
Mancato riconoscimento dei lavoratori della conoscenza?
C’ chi non si rassegna. Sono Giuseppe Allegri e Roberto Ciccarelli che hanno scritto un libro La furia dei Cervelli (manifestolibri, 2011), in cui si affronta la questione di una possibile politica contro la crisi, rovesciando il concetto di fuga con quello di furia. Il libro non si sofferma, quindi, sul fenomeno dell’emigrazione intellettuale, ma va alla radice dell’esclusione di milioni di persone dal patto sociale in un Paese travolto da una crisi senza precedenti, attraversato da movimenti studenteschi e universitari, del lavoro autonomo, del mondo della cultura e della conoscenza.
Il libro si rivolge a coloro che lavorano con contratti atipici, con la partita IVA, con le mille formule della collaborazione e del progetto; che svolgono un lavoro nello spettacolo, nella consulenza, nella formazione, nella ricerca, nel commercio e nellintermediazione, cui si aggiungono i migranti che lavorano nelle micro-imprese e nel lavoro domestico o di cura della persona.
Il Quinto Stato, come lo chiamano gli autori, costituito da lavoratori e lavoratrici precari-e, intermittenti, flessibili, autonomi, che solo a Roma sono circa 240 mila persone (statistiche del 2008) e spesso si raccolgono intorno ad associazioni che rappresentano il variegato mondo delle attivit professionali autonome, come Aiap (Associazione Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva) e Acta (Associazione Consulenti Terziario Avanzato), che riunisce tutte le categorie del lavoro indipendente e autonomo di servizi e consulenze alle imprese e alla pubblica amministrazione.
La furia dei Cervelli anche un tentativo – forse il primo dopo anni di movimenti frammentati e spesso di isolamento – di ricomporre e costruire una coalizione per autorganizzare questi soggetti esclusi dalla cittadinanza sociale. Cos, a partire dal libro, stato creato un blog (http://furiacervelli.blogspot.com/), quindi un sito che vorrebbe diventare piattaforma operativa (http://www.ilquintostato.it/) per dare vita a un network politico e sociale: un progetto animato da una vitale e combattiva comunit di freelance, lavoratori indipendenti e di cittadini non riconciliati con la vita al tempo della crisi e dellausterit come si legge nello stesso blog. Approfondiamo con Giuseppe Allegri:
Partiamo dal titolo. A cosa fa riferimento la furia?
Il gioco di parole evidente il ribaltamento della retorica del piagnisteo italico sulla fuga dei cervelli. Formula utilizzata dalla classe dirigente di questo Paese per disprezzare il lavoro culturale, di ricerca e formazione che dovrebbe essere essenziale per il miglioramento di una societ ed eliminare dallo spazio pubblico un paio di generazioni di nuovi lavoratori, trattandoli come pezzenti, incompresi, marginali, costretti alla fuga da un Paese che non li comprende e valorizza.
E allora col nostro libretto, Roberto Ciccarelli ed io, proponiamo di ribaltare queste passioni tristi invocando la lunga tradizione degli eroici furori di Giordano Bruno, quel divino furore che da sempre serpeggia nelle strade di Roma e che si manifestato al Teatro Valle, occupato da lavoratrici e lavoratori dello spettacolo lo scorso giugno, proprio a due passi da Campo dei Fiori, dove il Nolano venne arso vivo. C insomma una sapiente trasmissione di pensieri e pratiche eretiche, che attraversano i secoli e incrociano i soggetti irriducibili allesistente, contro la fabbrica dellobbedienza quel lato oscuro e complice degli italiani, per dirla col formidabile e passato troppo sotto silenzio, recente lavoro di Ermanno Rea (Feltrinelli, 2011).
Lidea della furia dei cervelli ci venuta in occasione di unassemblea di lavoratori dello spettacolo e della cultura, tenuta al Teatro Valle Occupato di Roma nel settembre scorso e che il buon Christian Raimo aveva proposto di chiamare, appunto: cervelli infuriati o la furia dei cervelli.
Il cervello il suo uso, la sua cura, il suo deperimento il nostro braccio, di lavoratori dellimmateriale, delle relazioni, della formazione, condivisione e trasmissione di cultura e conoscenza. Per dirla col Flavio Santi, del potente Aspetta primavera, Lucky (Edizioni Socrates, 2011), nel suo dialogo con un nostro, recente, antenato, Luciano Bianciardi: Caro Bianciardi, tu non puoi saperlo, ma noi siamo la prima generazione di intellettuali-operai. Un pezzo, un culo, per citare lindimenticabile Gian Maria Volont di La classe operaia va in paradiso (http://www.lavoroculturale.org/spip.php?article161).
Che cosa vi ha spinto a scrivere questo libro?
Lurgenza di mettere per iscritto unautonarrazione dei soggetti protagonisti delle nuove forme del lavoro. Il libro anche una presa di parola collettiva, un processo di auto-riconoscimento e soggettivazione, di donne e uomini entrati nel mercato del lavoro a cominciare dagli anni 90 dello scorso secolo. Soprattutto lesigenza di raccontare in prima persona la voglia di protagonismo di queste generazioni, che provano ad inventarsi forme di buona e degna vita, qui e ora. E nel libro ci sono interviste, incontri, esperienze: dal Valle occupato dove stato materialmente scritto, la scorsa estate alla Freelancers Union dei lavoratori indipendenti USA; dai movimenti degli studenti degli ultimi anni, alle reti di ricercatori precari e strutturati; dalle traduttrici, alle artiste; dai formatori e dalle redattrici, alla piccola, ma innovativa, autorganizzazione imprenditoriale. un noi che viene fuori dal libro: Do it yourself, ricerca di indipendenza e autonomia, aspirazione alla cooperazione sociale e al mutualismo, per affermare nuove modalit di vita in comune, qui e ora.
Chi sono i furiosi e cosa reclamano?
I furiosi sono i non garantiti, il precariato, le intermittenti, i lavoratori autonomi, gli atipici, le contrattiste ed assegniste, i consulenti: flessibili a tutti i costi. Siamo figli delle riforme del lavoro di met anni 90, della gestione separata INPS con miliardi di euro in attivo e nessuna erogazione di servizi di un sistema che riconosce la cittadinanza solo a chi ha un lavoro standard: e ora sempre meno anche a loro. Senza diritti, voce, dignit: siamo stati lavanguardia su cui sperimentare il saccheggio delle garanzie e tutele, che vengono ora sottratte a coloro i quali venivano definiti garantiti. Per questo parliamo di Quinto Stato: filiazione eretica e irriducibile al Quarto Stato, molto pi vicina ai Quartari descritti da Luciano Bianciardi nella sua formidabile trilogia della rabbia (Lavoro culturale, Lintegrazione, La vita agra). Siamo vaselina pura nel sistema incancrenito della societ dello spettacolo diffuso (per dirla con Bianciardi e Debord), ma vorremmo essere sabbia negli ingranaggi del capitalismo finanziario e del suo immaginario.
Per questo reclamiamo diritti, reddito e tutele sociali per una nuova cittadinanza sociale, ma pensiamo anche che la pratica dellautorganizzazione dal basso e diffusa possa permetterci di sperimentare nuove forme di buona vita.
Per rilanciare queste tematiche avete creato anche un blog con l’intento di formare un network. Quali sono le pratiche che proponete per contrastare la politica attuale e le mancate forme di riconoscimento e di reddito che riguardano i lavoratori precari della conoscenza?
Sono nate nuove idee per individuare dei prototipi o dei modelli che portino a una centralit dei saperi e valorizzino il lavoro intellettuale?
C la scommessa di tenere insieme forme di autorganizzazione del Quinto Stato, con lesigenza di riappropriazione sociale ed economica di quella ricchezza che produciamo e viene puntualmente saccheggiata dal dominio del privato-corporativo ormai finanziarizzato e del pubblico-burocratizzato oramai indebitato oltre ogni salvezza. Per questo vorremmo sperimentare la creazione di nuove istituzioni del vivere in comune: oltre la subordinazione alla speculare corruzione dellindividualismo proprietario/pubblico parassitario c lo spazio dellautorganizzazione sociale che si riappropria di spazi, ricchezze, tempi di vita. Sono quelle che chiamiamo le nuove istituzioni del comune: che siano teatri del Settecento abbandonati dal pubblico statale (il Valle); spazi di co-housing e co-projecting del nuovo lavoro immateriale e creativo; scuole e caserme in dismissione, propriet pubbliche cartolarizzate: dovrebbero esserci movimenti cittadini che si riapproprino di questi luoghi per renderli nuove piazze comuni, ateliers della liberazione dal lavoro e dalla sua mancanza. Dinanzi ai milioni di Working poors di tutte le forme del lavoro e alla prospettiva di una disoccupazione di massa di una (eventuale) Jobless Recovery dobbiamo sperimentare quella che Ivan Illich chiamava Disoccupazione creativa gi nel 1978. il terreno di immaginazione costituente per la ricerca di autonomia, indipendenza, cooperazione che ci aspetta, in cui il Quinto Stato contribuisce alla creazione di coalizioni sociali tra quelle porzioni della societ irriducibili allesistente: una sorta di ribaltamento del principio di sussidiariet orizzontale in favore dellautorganizzazione sociale dal basso. Queste coalizioni sociali devono riprendersi le ricchezze economiche, culturali, sociali, di tempi di vita, etc. sottratte dalliperliberismo istituzionalizzato. Parliamo a tutta la cittadinanza, partendo dalla nostra condizione ed esperienza individuale-collettiva: veniamo da un ventennio in cui abbiamo subito processi di impoverimento e precarizzazione che ora si diffondono a tutte le classi subalterne. Siamo convinti ci sia lurgenza di coalizzarsi per dire e praticare dei NO collettivi ai ricatti: della povert, della solitudine, della subordinazione al lavoro e alla sua assenza, della mancanza di diritti, reddito e dignit.
Chi sono i soggetti che ne fanno parte del network? Sono emerse delle realt pi strutturate oltre ai furiosi di cui hai parlato, come ad esempio reti, associazioni o organizzazioni di categoria del lavoro autonomo e intellettuale?
Dal nostro blog (http://furiacervelli.blogspot.com/) sta nascendo anche unaltra piattaforma, un nuovo spazio pubblico virtuale, che vuole essere immediatamente fisico: http://www.ilquintostato.it/. una piattaforma operativa: snodo di creazione di immaginario e di invenzione di pratiche quotidiane del Quinto Stato. In questi ultimi anni con Roberto abbiamo lavorato alla creazione di connessioni reticolari orizzontali tra lavoratrici/lavoratori indipendenti, autonomi, precari-e. Abbiamo incrociato e stiamo lavorando assieme a collettivi di artisti, creativi, lavoratori dellarte che si organizzano per creare le possibili coalizioni sociali a venire, come i Lavoratori dellarte (http://www.facebook.com/lavoratoridellarte) che abbiamo incrociato a Milano. Quindi siamo stati dentro processi come quello di Acta (Associazione dei Consulenti del Terziario Avanzato http://www.actainrete.it/), specificamente nel suo nodo romano; lesperienza dei grafici di Aiap nel Lazio (Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva http://aiap.it/); collettivi di precari-e e intermittenti del giornalismo, come quello romano di Errori di stampa (http://erroridistamparm.blogspot.com/); le reti dei precari della ricerca, degli archeologi (lAssociazione Nazionale Archeologi, http://www.archeologi.org/), dei movimenti cognitari dellultimo decennio, etc. Sono processi entusiasmanti e faticosi, che devono tenere conto anche dei meccanismi di costrizione psichica cui stata assoggettata la forza lavoro di questultimo ventennio, spesso soffocata in unantropologia negativa che assale anche le nostre forme di vita. questo forse il danno pi devastante prodotto dal dominio culturale, antropologico, esistenziale del tardo-capitalismo e in Italia ulteriormente accentuato dal ventennio berlusconiano e dallattuale quaresima montiana. Per converso siamo convinti che la storia millenaria di questo Paese e dellEuropa tutta anche quella mediterranea, bizantina e levantina fatta dalloperosit dellautorganizzazioni di singoli e comunit per vivere in modo felice la propria esistenza individuale e collettiva. Ci piace ripensare il protagonismo delle coalizioni di Blanqui a ridosso del 1848 parigino, le sperimentazioni della Commune, il socialismo municipale, il sindacalismo delle origini, delle prime mutue, quindi la One Big Union degli Wobblies, Industrial Workers of the World, che ci racconta Valerio Evangelisti nel suo ultimo libro (Mondadori, 2011; ma gi in Noi saremo tutto del 2004). E in questi mesi di presentazione del nostro libretto in giro per lItalia ci sembra di aver rintracciato il filo rosso di questa nobile storia: tra centri sociali, circoli Arci, spazi universitari, Palazzo Vecchio a Firenze, Palazzo della Provincia a Rieti, Porta Futuro a Roma, biblioteche, studentati occupati come Puzzle, sempre a Roma, sedi di associazioni, laboratori e gallerie darte indipendenti e autonome (come SALE docks a Venezia: http://www.saledocks.org/), etc. C una diffusa e duratura capacit di autorganizzazione della societ spesso ignorata dalle forze politiche e istituzionali. Con un battuta verrebbe da dire alle istituzioni locali: lasciate che i vostri spazi e le vostre ricchezze (fondi, stanziamenti, etc.) siano redistribuiti a queste esperienze che rendono vivi i territori e le cittadinanze. Che le strutture istituzionali si mettano al servizio di queste cittadinanze che si auto-organizzano: ecco un altro modo per parlare di nuovo servizio pubblico, istituzioni del comune e riappropriazione della ricchezza, senza scadere nel populismo e nellantipolitica.
Ho letto recentemente che negli USA ci sono ben 75 teatri abbandonati, pensi che l’esperienza del Teatro Valle Occupato da cui prende le mosse il libro, sia praticabile in altre realt italiane o all’estero? Pensi che possa essere un modello a cui guardare?
Questa della riattivazione/riutilizzazione degli spazi pubblici, e aperti al pubblico, in dismissione la grande scommessa che sta dentro lattuale crisi del capitalismo, che proprio nellincrocio della bolla immobiliare (tutto nasce dai mutui subprime USA 2007-2008), con quella finanziaria sembra esplodere in quella che potremmo chiamare la bolla formativa, compressa tra forza lavoro ultra-scolarizzata (overeducated, direbbero gli stilosi anglofoni), fallimento del processo di Bologna, del cosiddetto 3+2, e aumento delle rette universitarie (lo scorso anno in UK: da noi ci penser il ministro Profumo e la sua accolita di Professori ordinari seduti al Governo), che causeranno un indebitamento insolvibile delle nuove generazioni. La scommessa quella di riappropriarsi dei processi di produzione, condivisione e trasmissione dei saperi e delle conoscenze, a partire dalla possibilit di prendersi gli spazi pubblici della socialit diffusa nei territori abbandonati e/o alienati dalle istituzioni di governo. A Roma cera gi stata lesperienza dellAngelo Mai, collettivo di artisti che aveva occupato una scuola abbandonata nel rione Monti, la mitica Suburra Romana. Lattuale esperienza del Teatro Valle Occupato una buona pratica, un precedente replicabile; ora si potr dire: Al Valle stato fatto cos! Perch non qui?! Una collettivit di lavoratori intermittenti dello spettacolo occupa un spazio dismesso dal pubblico (con la chiusura dellEti Ente teatrale italiano), che il luogo di lavoro degli artisti e dei tecnici dello spettacolo (la loro fabbrica dellimmaginario, se fossimo nostalgici della tradizione del movimento operaio) e lo apre alle cittadinanze. Ora sperimenta anche la creazione dal basso di una Fondazione Teatro Valle Bene Comune (http://www.teatrovalleoccupato.it/), con la possibilit di renderla riproducibile: si pensano artifici giuridici che permetteranno ad altre fondazioni simili, sparse nel territorio, di federarsi con quella del Valle. un esperimento di creazione di un nuovo diritto non sovrano: lo spazio di invenzione autonoma di regole dellautoregolazione che sfocia nella fondazione di nuove istituzioni, non di nuove leggi. Saint-Just lo diceva gi dopo il 1789: la Rivoluzione non ha bisogno di nuove leggi, semmai di nuove istituzioni: cos esaltava lautorganizzazione sociale e la sua forza creativa, di nuove forme del vivere associato, oltre lo statalismo e lindividualismo proprietario. Ecco lo spazio di invenzione delle coalizioni sociali che devono tenere dentro tutti quei soggetti irriducibili allesistente, per affermare una nuova idea di societ. Si tratterebbe di cominciare a federare le esperienze virtuose delle cittadinanze attive, diffuse nei territori; e da l partire per pensare e praticare un vivere altrimenti dentro e contro le crisi del capitalismo: sono le occasioni costituenti della crisi. Ma bisognerebbe fare in fretta: dalle citt dItalia, allo spazio politico europeo, per affermare unaltra idea dEuropa e riprendersi il diritto al presente e al futuro! Noi saremo tutto